Tito Boeri: "senza gli immigrati l'inps crollerebbe"

Tito BoeriIl Presidente dell’INPS, Tito Boeri, ad inizio luglio ha esternato con veemenza che senza i contributi degli immigrati il nostro ente di previdenza sociale crollerebbe finanziariamente e sopratutto sarebbe incapace di garantire il nostro sistema di protezione sociale.

Stando alla reportistica dell’Ufficio Studi proprio interno all’INPS in vent’anni si sono potuti generare 70 miliardi di contributi provenienti proprio dagli apporti degli immigrati. Sempre stando alle sue esternazioni se non ci fossero gli immigrati sarebbe necessaria una manovra di finanza straordinaria di qualche miliardo ogni anno per preservare la sostenibilità finanziaria delle pensioni italiane.

Boeri inoltre ha ritenuto opportuno ricordare che una classe dirigente credibile ad un certo punto deve dire la verità degli italiani in merito all’immigrazione ossia che rappresenta un investimento nel medio lungo termine in assenza di un surplus demografico. Che tradotto significa: visto che l’Italia al pari di molti altri paesi occidentali è soggetta ad un trend demografico discendente, deve avviare ed implementare delle politiche di immigrazione volte a compensare questa deficienza strutturale in ambito demografico. Detta così sembrerebbe un assunto dai concetti assoluti ed universali.

Infatti altre nazioni occidentali si muovono da anni in tal senso, pensiamo ad esempio agli USA, al Canada, ed all’Australia.

Ma a noi italiani costruire un pensiero in termini assoluti non piace, preferiamo relativizzare ogni circostanza e congettura. Le esternazioni di Boeri sembrano arrivate con una tempistica che faccia più propendere ad una necessità di opportunismo politico (ricordiamo chi lo ha voluto alla guida dell’INPS) più che di effettiva lungimiranza manageriale. Con la nauseante diatriba politica che sta andando in scena in Italia da qualche mese circa la necessità dello ius solis, serviva un monito istituzionale ispirato più sulla paura finanziaria che sulle effettive esigenze di politica economica del nostro paese.

L’immigrazione, o meglio l’invasione a cui stiamo assistendo da ormai da quasi tre anni, rappresentano un costo iniziale in termini di investimento (assistenza, strutture, accoglienza, sanità, inserimento culturale) che produrrà in teoria un flusso finanziario positivo nel medio lungo termine. Significa che in questo momento si sta scommettendo letteralmente e politicamente che i miliardi di euro (oltre quattro solo per lo scorso anno) spesi ad esempio per l’accoglienza ai diversamente bianchi dovrebbe essere ricambiato nel tempo grazie ai contributi che queste persone, in qualche modo inserite in un contesto lavorativo, saranno in grado di ribilanciare questo flusso finanziario a nostra favore.

Della serie adesso spendo ogni anno cinque miliardi, però entro una decade me ne arriveranno annualmente dieci sotto forma di contribuzione previdenziale obbligatoria ed anche fiscale. Questo è quello con buona probabilità accade nei paesi che adottano questa scelta di gestione della politica immigratoria. Con una piccola distinzione rispetto al nostro paese: l’utilità marginale dell’immigrato ossia quali apporti significativi introduce all’economia nazionale un soggetto non autoctono (titolo di studio, capitali da investire, professionalità e competenze, capacità di creare e mantenere posti di lavoro e cosi via).

Sull’argomento ne so qualcosa avendolo vissuto sulla mia stessa pelle sia a Malta che in Spagna. In Italia invece questo elemento discriminatorio fondamentale è assente, vale a dire che l’ingresso è privo di requisiti di merito se non la farsa mediatica che continua ad essere spacciata dal vile servilismo giornalistico catto-comunista che ci racconta da anni che sono tutti profughi che scappano dalla Siria o da altre nazioni in cui impervia una guerra civile.

Il DEF 2016 (Documento di Economia e Finanza) che non può filosofeggiare su questo fenomeno perché rimane pur sempre un documento di rilevanza istituzionale a cui fanno riferimenti i burocrati di Bruxelles riporta testualmente questa considerazione in merito ai flussi immigratori che aggrediscono l’Italia: “Le spese sostenute (in merito all’emergenza migranti negli anni 2015 e 2016) derivano in larga parte dalla posizione geografica dell’Italia, considerata prevalentemente un paese di transito dei rifugiati. A fronte del costo sostenuto nel breve termine, questo fattore riduce la potenzialità per l’Italia di ricevere un beneficio economico di medio-lungo periodo derivante dall’integrazione dei migranti nel tessuto produttivo, che sarà invece valorizzato nei vari paesi di destinazione finale”.

Ora soffermatevi a leggere i post di commento sui vari socials quando si parla di immi-non-grati diversamente bianchi: l’Italia è una polveriera sociale ad orologeria pronta a scoppiare: se si presentasse l’erede di Hitler alla prossima campagna elettorale non ci metterebbe tanto ad avere la maggioranza. In Italia il concetto di libertà è oramai sofisticamente modificato a seconda delle varie convenienze: siamo arrivati alla follia che dare del clandestino ad un diversamente bianco sarà un atto considerato passibile di denuncia. Vi è una propaganda mediatica tutta a marchio PD che è degna di qualsiasi regime totalitario: o sei pro immigrazione (quella che intendono loro) o sei un nemico del paese, una sorta di essere immondo degno di non poter più vivere nella nazione che ti ha dato la luce. Questo perché ti devi fare da parte, e lasciare che questo copione scritto da altri continui ad essere recitato impunemente.

Le prossime elezioni politiche in Italia saranno esclusivamente un referendum sull’immigrazione clandestina ribattezzata migrazione assistita per esigenze economiche dai pariolini radical chic. Quello che si deve riconoscere a Boeri è l’essenza aberrante della sua esternazione: senza immigrazione (quella avvenuta comunque nel passato ed in parte regolata) non si potrebbe sostenere il protezionismo sociale. Sarebbe più opportuno tuttavia fare un distinguo: sostenere questo protezionismo sociale, non il protezionismo sociale in sé. Se mai arriverà una nuova classe dirigente dovrà far aprire gli occhi alla nazione ossia che i modelli di rendita su cui si regge l’attuale previdenza nazionale sono insostenibili perché si basano su un furto intergenerazionale a cui si affianca la spiacevole necessità di allungare l’età lavorativa di percezione della rendita tanto sospirata.

Questo perché la speranza di vita si è allungata e la fiscalità diffusa si deve fare carico di copertura sanitarie un tempo impensabili a causa dell’insorgere di patologie degenerative croniche il cui costo di assistenza e degenza rimane in continua lievitazione. Alla fine il PD & Company altro non vogliono che questo: individuare quali stratagemmi consentono di continuare a pagare pensioni che dovrebbero essere già state razionalizzate da tempo – ma che politicamente non si vuole fare per evitare il suicidio politico – e come permettere di garantire un’assistenza sanitaria priva di approccio meritocratico universalmente a tutti (altro tema politico con cui bruciarsi la carriera politica).

Italiani avveduti che ne hanno compreso da tempo il destino, se ne sono andati per sempre da questa Italia, solitamente portandosi via grandi risorse e capacità.

Alla fine nella penisola rimarranno presenti solo italopitechi e italioti che saranno mantenuti (in teoria) dal lavoro di basso profilo e sotto pagato di immi-non-grati diversamente bianchi. Ovviamente fino a quando questi ultimi non diventeranno la maggioranza assoluta numericamente su quel che resta della originaria popolazione italica. A quel punto vedremo quanto durerà il protezionismo sociale all’italiana.

Fonte: eugeniobenetazzo.com

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