Lago Titicaca ridotto a una discarica

Lago TiticacaPer il Global Nature Fund è “il più minacciato del Pianeta” Fra gli indios che si appellano all’Onu: servono depuratori

Il Titicaca è stato per secoli il lago su cui, nel cuore delle Ande, si sono affacciate le culture più antiche dell’America Latina. Oggi si è trasformato in uno specchio deforme di un pianeta malato e incapace di preservare i suoi tesori naturali più preziosi. Il lago più elevato al mondo con i suoi 3812 metri di altitudine, che si estende per oltre 8 mila kmq, abbracciando Bolivia e Perù, è a rischio. Tanto che l’autorevole fondazione tedesca Global Nature Fund l’ha eletto «Lago più minacciato del 2012». Un titolo di cui gli abitanti farebbero volentieri a meno.

«Se muore il lago Titicaca muore il pianeta. E in fretta», denuncia commosso Esteban Mamani Quispe, 40 anni, uno dei leader del locale comitato dei saggi impegnati, sul fronte boliviano, nella lotta alla salvaguardia del lago. Il suo villaggio, Cohana, un pugno di casette colorate che specchiano le loro forme nelle acque antichissime del Titicaca, in pochi anni ha cambiato fisionomia. Laddove le rive erano verdi e lussureggianti oggi si incontrano solo vacche e pecore che ruminano tra i rifiuti, gli abitanti non pescano più perché i pesci sono quasi tutti morti e tra i giovani chi può è scappato. Hernán Quispe Mendoza appartiene anche lui al consiglio dei saggi di Cohana. «La situazione è diventata gravissima. Il lago ormai è contaminato. Se non ci aiuta la comunità internazionale è davvero finita». Basta provare a navigare nelle acque del Titicaca nella baia di Cohana per rendersi conto. A ogni metro si incontra plastica, liquami e moltissima mucillagine verde, definita dagli scienziati il segnale allarmante della lenta agonia del lago.

Le ragioni di questa agonia sono tante. La città di El Alto, quasi due milioni di abitanti, che sovrasta La Paz dall’alto dei suoi 4100 metri, è cresciuta in modo esponenziale negli ultimi anni. Sino al 1985 era solo un quartiere periferico della capitale, conosciuto per l’aeroporto. Poi ha iniziato a raccogliere molti migranti interni della Bolivia, aymara ma non solo, crescendo in modo caotico. Oggi nell’ex quartiere paceño di El Alto vivono quasi due milioni di abitanti e questa città con meno di 30 di vita si contente con La Paz e Santa Cruz il titolo della più popolata della Bolivia. Il suo fiume, el Rio Seco, con i suoi 80 chilometri di scarichi arriva dritto nella baia di Cohana, gettando nel Titicaca i peggiori rifiuti tossici.

A El Alto non ci sono impianti depuratori sufficienti, le industrie non rispettano le regole e chiunque può gettare quello che vuole. Senza contare i tanti laboratori clandestini che trasformano con additivi chimici le foglie di coca in cocaina. È un mix dell’orrore quello che sta strozzando il Titicaca da El Alto. Risultato: la mortalità infantile è arrivata al 10 per cento, il cancro e le infezioni falcidiano la popolazione, perché l’acqua del lago per le comunità indigene è l’acqua che si beve e con cui si cucina.

A Puno, sul versante peruviano del lago, la situazione è appena migliore ma «solo perché c’è meno gente», spiega Alberto Lescano Rivero, del Cedas, il locale Centro de Desarrollo Ambiental y Social. Ma gli effetti sono simili. «Duecentomila abitanti che vivono con infrastrutture per 50 mila», denuncia Alberto. Per 362 chilometri quadrati a nord di Puno si estende dal 1978 la Riserva nazionale del Titicaca, che resta riserva però solo sulla carta. La biodiversità che l’ha sempre contraddistinta, infatti, si è accartocciata su se stessa. Pesci come il Titicaca Grebe o animali d’acqua come le rane del Titicaca sono diminuiti in modo preoccupante, mentre la carpa tipica della zona, l’Amanto, è stata dichiarata estinta. Per non parlare degli uccelli che hanno dovuto mutare le loro rotte migratorie. Quanto alla coltura tradizionale del lago, la patata, è stata seriamente compromessa, minando, così, una tradizione millenaria.

«Per favore aiutateci altrimenti i nostri figli moriranno», supplica con le lacrime agli occhi Victor Panca Mendoza. Victor è sindaco di Uros Chulluni, uno dei punti mozzafiato del Titicaca. Sono le cosiddette «isole galleggianti», si trovano nel versante peruviano, a un passo da Puno, e hanno mantenuto intatte le loro antichissime tradizioni. Gli indios vivono ancora nelle tipiche capanne e si muovono su piroghe fatte di legno e vimini. Victor insieme agli altri sindaci del Lago chiede adesso che venga dichiarato lo stato di «emergenza internazionale» e che la comunità mondiale prenda coscienza della crisi ecologica che rischia di diventare irreversibile. «Serve al più presto una legge di tutela - dice - che metta in pratica rapidamente misure urgenti, a partire dalla costruzione di nuovi depuratori».

Ma lo sguardo degli indios vuole andare ancora più lontano e arrivare fino alle Nazioni Unite. Félix Espinoza Coro, sindaco di Pucarani, uno dei comuni più grandi nei pressi del lago sul fronte boliviano ha stimato in 5 milioni di dollari i danni finora subiti dalla sua comunità. «L’Onu e la Cooperazione internazionale devono prendersi cura di noi - protesta -: nella sola baia di Cohana più di 10 mila contadini non hanno più acqua pulita per le loro bestie che continuano a morire assieme ai cristiani».

Secondo l’antica tradizione il Titicaca prende il nome dall’isola chiamata Intikjarka, parola formata da due termini della lingua aymara, «Inti», cioè Sole e «kjarka», masso rupestre. Ma persino il sole adesso sembra brillare meno in questo ecosistema minacciato. «Il lago era il cuore della nostra esistenza - conclude Esteban - adesso è diventato un vortice nero che risucchia le nostre vite forse fino alla morte».

Autore: Paolo Manzo / Fonte: lastampa.it