Non è vero che il calcio migliora la salute delle ossa

Non è vero che il calcio migliori la salute delle ossaÈ noto a tutti che assumere più calcio, tramite alimenti o integratori, migliori la salute delle nostre ossa, prevenendo il rischio di andare incontro a fratture, soprattutto in età avanzata.

E invece no.

A smontare questa tesi, arrivano ora due studi apparsi sul British Medical Journal, secondo cui l’assunzione di calcio non solo non migliorerebbe la salute delle nostre ossa, ma non ci sarebbero neanche le prove per cui un aumento del calcio nella dieta ridurrebbe il rischio di fratture.

Per dimostrarlo, alcuni ricercatori hanno confrontato i risultati di oltre quaranta studi, precedentemente pubblicati, scoprendo che il link tra l’assunzione di calcio e l’aumento delle densità dei minerali di cui fa parte nelle ossa non era confermato statisticamente.

Il team di ricercatori ha analizzato i dati disponibili da studi randomizzati controllati e studi osservazionali su donne e uomini di età superiore ai 50 anni.

In uno studio, gli scienziati hanno scoperto che aumentando l’assunzione di calcio, con alimenti o integratori, si verificano piccoli aumenti della densità ossea, in una percentuale (1-2%) però insufficiente per poter pensare a una riduzione clinicamente significativa del rischio di una frattura.

Nell’altro studio, gli esperti hanno rivelato che l’assunzione di calcio nella dieta non è associato al rischio di frattura, e non ci sono prove di sperimentazioni cliniche in cui l’aumento dell’assunzione di calcio da fonti alimentari abbia prevenuto le fratture.

“Assumere cibi ricchi di calcio oppure integratori alimentari che lo contengono”, hanno spiegato gli studiosi, “produce solo piccoli aumenti della densità di minerali all’interno delle ossa. È quindi improbabile che una dieta particolarmente ricca di calcio possa portare a una riduzione del rischio di frattura clinicamente significativa”.

Autrice: Marta Musso / Riferimenti: British Medical Journal Doi: 10.1136/bmj.h4580; doi: 10.1136/bmj.h4183; doi: 10.1136/bmj.h4825 / Fonte: galileonet.it