Bioinformatica

Creata una pillola che somministra insulina nello stomaco

La capsula pillola, dalle dimensione di un mirtillo, dispone di un piccolo ago fatto di insulina compressa che viene iniettato nello stomaco

La pillola tecnologica rilascia insulina nello stomaco e potrebbe sostituire le iniezioni per i pazienti con diabete di tipo 1.

Un gruppo di scienziati, diretto dal Massachusetts Institute of Technology di Boston, ha sviluppato una capsula farmacologica che potrebbe essere utilizzata per somministrare dosi di insulina. Questo nuovo dispositivo tecnologico potrebbe sostituire le normali iniezioni somministrate giornalmente ai pazienti con diabete di tipo 1.

La capsula, dalle dimensione di un mirtillo, dispone di un piccolo ago fatto di insulina compressa che viene iniettato nel momento in cui il dispositivo raggiunge lo stomaco. Nei test sugli animali, i ricercatori hanno dimostrato che potevano fornire abbastanza insulina per abbassare lo zucchero nel sangue a livelli paragonabili a quelli prodotti dalle iniezioni somministrate attraverso la pelle. Essi hanno anche dimostrato che il dispositivo può essere adattato per somministrare altri farmaci proteici.

Il dottor Robert Langer, (1) professore del David H. Koch Institute, membro del MIT Koch Institute for Integrative Cancer Research e uno degli autori senior dello studio, ha dichiarato: “Siamo davvero fiduciosi per questo nuovo tipo di capsula che in futuro potrebbe aiutare i pazienti diabetici e forse chiunque abbia bisogno di terapie, che attualmente possono essere somministrate solo mediante iniezione o infusione.”

Neurostimolatore wireless per i disturbi neurologici

Il nuovo neurostimolatore WAND funziona come un pacemaker per il cervello. Effettua trattamenti mirati ai pazienti affetti da epilessia e Parkinson

Un nuovo neurostimolatore sviluppato dagli ingegneri dell'UC Berkeley può percepire e stimolare la corrente elettrica nel cervello allo stesso tempo, offrendo trattamenti mirati ai pazienti con malattie come l'epilessia e il Parkinson.

Il dispositivo, chiamato WAND, funziona come un “pacemaker per il cervello”, controlla l'attività elettrica del cervello fornendo una stimolazione elettrica nel momento in cui rileva qualcosa di anomalo.

Questi dispositivi possono essere estremamente efficaci per prevenire tremori o convulsioni debilitanti in pazienti con una varietà di condizioni neurologiche. Gli impulsi elettrici che precedono un attacco o un tremore possono essere estremamente deboli. Per prevenire questi disturbi neurologici la frequenza e la forza della stimolazione elettrica richieste devono essere particolarmente mirate.

I precedenti dispositivi offrivano un trattamento ottimale solo dopo anni di piccoli aggiustamenti da parte dei medici. 'WAND' (Wireless Artifact-free Neuromodulation Device) è un dispositivo wireless autonomo: nel momento in cui riconosce i segni del tremore o delle convulsioni, ha la capacità di regolare autonomamente i parametri di stimolazione che inibiscono i movimenti indesiderati. Questo dispositivo a circuito chiuso può stimolare e registrare simultaneamente, ma anche regolare i parametri in tempo reale. 'WAND' può registrare l'attività elettrica su 128 canali o da 128 punti nel cervello. Un coefficiente molto elevato se si considera che i tradizionali sistemi a circuito chiuso si basano su otto canali. Per dimostrare il dispositivo, il team ha utilizzato 'WAND' per riconoscere e ritardare i movimenti specifici del braccio nei macachi Rhesus. Il dispositivo è descritto in uno studio apparso in Nature Biomedical Engineering.(1)

La dottoressa Rikky Muller,(2) una assistente professoressa di ingegneria elettronica e scienze informatiche a Berkeley spiega: “Il processo per trovare la giusta terapia di un paziente è estremamente costoso e può richiedere anni. Una significativa riduzione dei costi e della durata può potenzialmente portare a risultati e accessibilità notevolmente migliorati. Vogliamo consentire al dispositivo di capire qual è il modo migliore per stimolare un dato paziente a dare i migliori risultati. E puoi farlo solo ascoltando e registrando i segnali neurali.”

Creati nuovi sensori per monitorare la dopamina nel cervello

I neuroscienziati del MIT potranno misurare la dopamina nel cervello per più di un anno. Questo sistema li aiuterà a capire il ruolo della dopamina.

Piccole sonde installate nel cervello potrebbero monitorare i pazienti malati di Parkinson e altre patologie.

La dopamina, che all'interno del cervello funziona da neurotrasmettitore, tramite l'attivazione dei recettori dopaminici specifici e subrecettori, svolge un ruolo importante nel regolare il nostro umore, oltre a controllare il movimento. Molti disturbi, tra cui il morbo di Parkinson, la depressione e la schizofrenia, sono legati a carenze di dopamina. I neuroscienziati del MIT hanno escogitato un modo per misurare la dopamina nel cervello per più di un anno. Essi sono certi che questo nuovo sistema li aiuterà a imparare molto di più sul ruolo della dopamina nel cervello sano e malato.

“Sappiamo che la dopamina è una cruciale molecola neurotrasmettitrice nel cervello, implicata nelle condizioni neurologiche, neuropsichiatriche e nella nostra capacità di apprendere. Tuttavia, per noi è risultato impossibile monitorare i mutamenti nel rilascio online di dopamina in periodi di tempo abbastanza lunghi da riferirli alle condizioni cliniche”, afferma Ann Graybiel,(1) professoressa del MIT Institute, membro del McGovern Institute for Brain Research del MIT e uno degli autori senior dello studio.

Il dottor Michael J. Cima,(2) professore di ingegneria presso il Dipartimento di Scienza dei Materiali e Ingegneria nonché membro del David H. Koch Institute for Integrative Cancer Research (Massachusetts Institute of Technology MIT) per la ricerca sul cancro integrativo, e Rober Langer,(3) Professore e membro del David H. Koch Institute for Integrative Cancer Research (Massachusetts Institute of Technology MIT). Entrambi sono anche autori principali dello studio. La dottoressa del MIT Helen Schwerdt è l'autore principale dell'articolo, che appare nel numero del 12 settembre di Communications Biology.(4)

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