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- Posted By: Capuano Edoardo
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Un nuovo studio condotto da scienziati dell'Università di Bristol ha utilizzato una combinazione di dati genomici e fossili per spiegare la storia della vita sulla Terra, dalla sua origine ai giorni nostri.
I paleontologi hanno a lungo cercato di comprendere le origini della vita e la sua storia evolutiva condivisa nel suo complesso.
Tuttavia, la documentazione fossile inerente al periodo iniziale è estremamente frammentata e la sua qualità si deteriora in modo significativo più indietro nel tempo verso il periodo arcaico, risalente a più di 2,5 miliardi di anni fa, quando la crosta terrestre si era raffreddata abbastanza da consentire la formazione di continenti e delle prime forme di vita microbiche.
Holly Betts,(1) autrice principale dello studio, della Scuola di Scienze della Terra dell'Università di Bristol,(2) ha dichiarato: “Ci sono pochi fossili dell'Archaean e generalmente non possono essere assegnati in modo inequivocabile ai lignaggi con cui siamo abituati, come le alghe blu-verdi o gli Archeobatteri amanti del sale che colorano le paludi salate di tutto il mondo. Il problema con i primi reperti fossili della vita è rappresentato dalla difficoltà di interpretazione dei dati e anche dalla scarsità di elementi su cui lavorare. Malgrado ciò, un'attenta rianalisi di alcuni dei più antichi reperti ha dimostrato che erano cristalli e non fossili.”
Le prove fornite dai reperti fossili, per determinare l'inizio dell'evoluzione della vita, sono così frammentate e difficili da valutare che le nuove scoperte e le reinterpretazioni dei fossili conosciuti hanno portato a una proliferazione di idee contrastanti sui tempi dell'inizio della vita.
Il co-autore Philip Donoghue,(3) anch'egli della Scuola di Scienze della Terra di Bristol, ha aggiunto: “I fossili non rappresentano l'unica linea di prova per comprendere il passato. Esiste una seconda registrazione della vita, conservata nei genomi di tutte le creature viventi.”
Il co-autore Dr Tom Williams,(4) della Scuola di Scienze Biologiche di Bristol,(5) ha dichiarato: “Combinando le informazioni ricavate dai fossili e quelle genomiche, possiamo usare un approccio chiamato 'orologio molecolare' basato sull'idea che il numero di differenze nei genomi di due specie viventi (ad esempio un essere umano e un batterio) sono proporzionali al tempo poiché hanno condiviso un antenato comune.”
Facendo uso di questo metodo, il team di Bristol e Mark Puttick dell'Università di Bath sono riusciti a ricavare un calendario per la storia della vita sulla Terra che non si basa sull'età mutevole delle più antiche testimonianze fossili.
Il professor Davide Pisani,(6) coautore della ricerca, ha dichiarato: “Utilizzando questo approccio siamo stati in grado di dimostrare che l'ultimo antenato universale comune per tutte le forme di vita cellulare, 'LUCA' (l'Eubacteria e la Archaebacteria), esisteva molto presto nella storia della Terra, circa 4,5 miliardi di anni fa. Non molto tempo dopo che la Terra era influenzata dal pianeta Theia, l'evento che sterilizzò la Terra e portò alla formazione della Luna. Questo risultato testimonia la potenza delle informazioni genomiche, poiché è impossibile, sulla base delle informazioni fossili disponibili, discriminare tra i più antichi resti fossili di eubacterial e archaebacterial.”
Lo studio conferma la visione moderna secondo cui gli eucarioti, il lignaggio a cui appartiene la vita umana (per esempio, insieme con le piante e i funghi), non sono una linea primaria della vita. Il professor Pisani ha aggiunto: “È piuttosto umiliante pensare di appartenere a un lignaggio che è miliardi di anni più giovane della vita stessa.”
Questa ricerca è stata finanziata dal Consiglio per la ricerca sull'ambiente naturale e dal Consiglio di ricerca sulle scienze biotecnologiche e biologiche (BBSRC).(7)
Riferimenti:
(1) Miss Holly Betts
(2) University of Bristol’s School of Earth Sciences
(4) Dr Tom Williams
(5) School of Biological Sciences
(7) Biotechnology and Biological Sciences Research Council (BBSRC)
Descrizione foto: le saline sono colorate di rosa dagli arcaebatteri che amano il sale (alofili).
Autore: Edoardo Capuano / Foto: University of Bristol