Viviamo in una realtà fatta di debiti

Clicca per ingrandireChe siamo seduti su una montagna di debiti pronta ad esplodere, non è una novità. Non lo è neanche sapere che il sistema bancario, seppur con le opportune distinzioni del caso, da Paese a Paese, è sull'orlo dell'insolvenza e ad un passo dal fallimento. Così come lo sono una moltitudine di stati, di imprese e di famiglie.

Di fatto, questa montagna di debiti, viene mantenuta a galla a forza di stampare moneta e gonfiando artificiosamente bolle finanziarie allo scopo di tentare di riassorbire nel tempo distorsioni economiche e finanziarie prodotte in oltre un ventennio, o forse più.

Allo stesso modo, l'apparente solvibilità bancaria è mantenuta proprio grazie ad una pioggia di denaro senza precedenti nella storia umana. Di fatto, la BCE, così come la FED e le altre banche centrali sparse per il mondo, stanno garantendo un flusso pressoché continuo di liquidità, tale da scongiurare l'insolvenza di un nutrito numero di banche e stati che causerebbe un armageddon economico-finanziaria su scala planetaria.

I primi e forse gli unici che troveranno giovamento da queste politiche monetarie che non trova precedenti nella storia, sono proprio i primi prenditori di queste risorse: ossia le banche e le grande multinazionali. Gli stati devono ridurre l'indebitamento, e devono poterlo fare nel più breve tempo possibile; peraltro in mancanza di adeguati gettiti tributari che vengono meno per effetto della congiuntura economica negativa.

Le banche, a causa del deteriorarsi dei propri attivi, stanno riducendo le rispettive esposizioni nei confronti di un mercato che sembra contrarsi sempre più per effetto della crisi in atto che compromette il normale flusso di capitali di famiglie e imprese, che stentano a ripagare i rispettivi debiti bancari a scadenza. Analogo discorso può essere riprodotto per le imprese e le famiglie. Le prime non si fidano più dei loro clienti e, nella necessità di dover rientrare dalle loro esposizioni debitorie nei confronti del sistema bancario anche a causa dell'inasprimento delle condizioni economiche che erodono redditività, tendono a ridurre i tempi nei pagamenti delle loro forniture commerciali, drenando ulteriori risorse. Mentre le seconde, le famiglie, a causa della compressione dei redditi disponibili, vedono il futuro sempre con maggior preoccupazione e tendono a scrollarsi di dosso (ove possibile) gli indebitamenti contratti con troppa leggerezza nei periodi di vacche grasse; debito che ha offerto loro la possibilità di poter abusare di un tenore di vita al di sopra della proprie possibilità, che ora sta presentando il conto.

In un simile contesto, accade che il reddito derivante dalla ricchezza che si produce, una volta che si sono ripagati i fattori necessari per produrlo (merci, materi prime, personale ecc ecc) e l'immancabile tassazione, anziché essere reinvestito nell'economia (attraverso maggiori consumi, investimenti, ecc. ecc.), viene sottratto dal ciclo economico per poter essere destinato al ripianamento dei debiti. Si innesta così in circolo vizioso che autodetermina una maggiore contrazione economica per poi sfociare nella depressione. Gli stati, con i propri bilanci dissestati, sono nell'impossibilità di poter sopperire alla compressione di ricchezza che gli agenti economici virtuosi, in condizioni di normalità, reinvestirebbero nell'economia reale. In altre parole, gli Stati sono privi della possibilità di sostenere l'economia attraverso investimenti pubblici (strade, porti, scuole infrastrutture ecc). Dovendo anch'essi ridurre l'indebitamento, imprimono il colpo di grazia all'economia inasprendo la pressione fiscale che colpisce i veri produttori di ricchezza che a quel punto, oltre a trovarsi nella condizione di non poter investire nell'economia reale per sostenere azioni di sviluppo, godono via via di minori risorse disponibili anche per ripagare i debiti.

Ciò, nella migliore delle ipotesi, determina un allungamento dei piani di rientro delle rispettive posizioni debitorie e quindi, conseguentemente, anche un maggior esborso di oneri finanziari che decurtano ancora di più le già ridotte disponibilità di risorse. Questo riduce sempre di più il bacino dal quale lo Stato trae la sua linfa vitale. Ma dovendo nutrirsi di risorse sempre crescenti per mantenere un apparato pubblico e amministrativo vezzo a nutrirsi con dosi crescenti di ricchezza, l’unica cosa che riesce a fare, anziché mettersi a dieta, è quella di chiedere sempre di più, anche a costo di affamare a uccidere chi produce ricchezza reale: imprese e famiglie. In altre parole, Si creano così un insieme di processi, attività e veicoli normativi idonei a trasferire (rapinare) ricchezza finanziaria (già ampiamente tassata) da chi ne ha la disponibilità e da chi è in grado di produrla, a favore di chi ne necessita facendo un percorso univoco da privato a pubblico, ovvero da privato a sistema bancario.

Nel primo caso, lo Stato, poiché dispone dell’autorità di imporre la propria pretesa tributaria, ottiene le risorse necessarie attraverso l'imposizione fiscale.

Nel secondo, le banche, poiché conniventi e simbiotiche in modo sistemico con il potere politico per reciproca convenienza, trovano un giusto alleato proprio nei governi che si rendono disponibili a porre in essere operazioni di sostegno o di salvataggio dei dissestati bilanci bancari. E anche in questo caso, lo fanno attingendo ricchezza da chi ne ha la disponibilità e da chi la produce.
In altre parole si sta assistendo ad un fenomeno epocale le cui radici dovrebbero essere abortite da qualsiasi morale umana: la privatizzazione dei profitti - per lo più a favore di grandi banche (poche) e multinazionali -, finalizzati per lo più al mantenimento dei privilegi dei pochi, e la socializzazione delle perdite spalmate su vasta scala proprio in capo alla collettività, oppressa dal potere coercitivo esercitato in maniera illegittima da uno Stato padre padrone.

Ciò vuol dire che, almeno nel contesto europeo ed in particolar nell'area mediterranea, benché con le opportune distinzioni del caso, è in atto il più grande trasferimento di risorse dal privato al pubblico e da questo, almeno in parte, al mondo bancario.

Quanto sopra affermato, trova ampio riscontro nelle politiche economiche e monetarie varate in questo periodo di crisi e, in tal senso, le scelte fatte nel contesto europeo e quindi nei vari stati appartenenti all’unione monetaria, ne costituiscono un esempio paradigmatico.

Autore: Paolo Cardenà / Fonte: vincitorievinti.com