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Il diamante naturale è una forma allotropica del carbonio ed è costituito da un reticolo cristallino di atomi disposti in una struttura tetraedrica creato attraverso un processo di natura geologica.
I diamanti sintetici sono invece un prodotto tecnologico che l’uomo ha tentato di riprodurre in laboratorio fin dal diciannovesimo secolo.
Tuttavia solo a partire dal 1940, negli Stati Uniti, in Svezia e nell'Unione sovietica, usando i processi di sintesi a deposizione chimica da vapore (Chemical Vapor Deposition - CVD) e di sintesi ad elevata pressione e temperatura (High - Pressure High - Temperature - HPHO) ha avuto inizio una vera e propria ricerca sistematica.
Un gruppo di ricercatori dell’Università di Trento (Laboratorio IdEA del Dipartimento di Fisica) in collaborazione con il Centro di Neuroscienze e Sistemi Cognitivi dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Rovereto (CNCS - IIT) coordinato da Angelo Bifone ha condotto una ricerca, pubblicata su Scientific Reports, sulla produzione di diamanti di dimensione nanometrica attraverso l’emissione di impulsi molto intensi di luce ultravioletta verso della grafite contenuta in un bicchiere d’acqua.
Questa originale tecnica sperimentale apre la possibilità di usare questi diamanti di dimensioni nanometriche (nanodiamanti) in applicazioni di diagnostica medica con uso di tecnologie quantistiche. I diamanti essendo composti di carbonio, compatibile con l’organismo e quindi non pericoloso, sono infatti capaci di rilevare eventuali anomalie dal punto di vista cellulare nel sangue funzionando come tante piccole “antenne” per individuare malattie o metalli pesanti nell’organismo.
Per le loro caratteristiche fisiche e chimiche, estrema durezza, elevato indice di dispersione ottica, altissima conducibilità termica, grande resistenza agli agenti chimici e alla frizione e bassissimo coefficiente di dilatazione termica, i nanodiamanti sono da tempo oggetto di studio interessanti per possibili applicazioni, scoraggiati fino ad ora dalla difficoltà di ottenerli dallo sminuzzamento degli esemplari più grandi. La scoperta del team trentino descrive un nuovo modello termodinamico che consente la sintesi di nanodiamanti partendo da acqua comune.
“La polvere di nanodiamanti – spiega Antonio Miotello, responsabile del Laboratorio IdEA dell’Università di Trento – viene prodotta a temperatura ambiente e con una pressione atmosferica standard attraverso il laser che agisce trasformando la grafite presente nell’acqua. L’ambiente acqueo prodotto intrappola le molecole e favorisce così la formazione e lo sviluppo dei nuclei di diamanti. Il metodo che abbiamo sviluppato è facilmente replicabile: non richiede infatti specifiche condizioni termiche o chimiche per rendere possibile il processo di trasformazione della grafite”.
«Il Trentino – commenta Angelo Bifone, direttore del Centro di Neuroscienze e Sistemi cognitivi dell’IIT a Rovereto – dimostra ancora una volta di essere all'avanguardia nel campo delle tecnologie avanzate attraverso una intelligente gestione delle sinergie della ricerca locale e con una rete di laboratori che già sono in grado di produrre risultati di rilievo internazionale».
Fonte: researchitaly.it