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- Posted By: Bruno Chastonay
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Viviamo in queste ultime settimane dei momenti delicati per le Banche Centrali e per alcuni Governi, che sono obbligati a confrontarsi con il famoso detto … “tutti i nodi vengono al pettine”.
Il primo ruolo delle Banche Centrali non è di risolvere i problemi del mondo, ma quello di garantire la stabilità:
- dei prezzi,
- della inflazione e la sana tenuta dei conti e
- delle esposizioni debitorie dei privati e della pubblica amministrazione.
Dalla crisi innescata dai sub-prime statunitensi nel 2008, abbiamo avuto un intervento massiccio di iniezione di liquidità da parte di Governi, Banche Centrali, ed altra numerose iniziative atte a superare la conseguente crisi economica.
Nonostante i massicci livelli di liquidità iniettati sui mercati, si sono registrati dei risultati piuttosto deludenti e, nei casi di segnali positivi, soprattutto fragili.
Tirando le somme, a 10 anni di distanza, si evidenzia un livello dei debiti in continuo aumento, a nuovi record massimi, nonostante il crollo dei tassi, per livelli prossimi allo zero o negativi.
Il recupero delle Economie si mostra sostanzialmente “blando”, considerando i bassi livelli di sviluppo consuntivati, con vantaggi soprattutto a favore delle grandi aziende, multinazionali in primis.
Meglio l’occupazione, secondo i dati ufficiali, ma di scarsa rilevanza in termini “reali”, considerato che i salari sono rimasti al “palo”; il dumping salariale è in netto aumento, come pure l’uso di pre-pensionamenti, licenziamenti, sostituzioni.
Una occupazione a livelli di “valore” inferiore (in termini di reddito complessivo), soprattutto se confrontata con l’aumento dei costi:
- sociali,
- di trasporto,
- di comunicazioni,
- fiscali,
- affitti,
- assicurativi.
Il target inflazione verso il 2pc (2%) voluto dal Giappone è ancora ben lungi dall’essere raggiunto.
Nemmeno in mercati come quelli degli USA, EU, UK, il target previsto (2%) è stato raggiunto, con livelli bassi oltre le previsioni, e sotto gli obiettivi continuamente enunciati.
Sorge quindi la domanda:
- Perché con questa ripresa “robusta” in atto (almeno secondo le dichiarazioni ufficiali), non abbiamo un rialzo dell’inflazione (frase proposta da ECB, FED e altre)?
- E se ora riduciamo la liquidità che ha sorretto e spinto i mercati finanziari, che succede?
Si parla di propensione al consumo, o al rischio, per indicare il desiderio di consumare, di investire nei mercati finanziari.
In sostanza sarebbe meglio dire che rimane elevata la ricerca di rendimento, come effetto collaterale ai tassi zero o negativi applicati.
Fattore che ha di fatto spostato o modificato la tipologia degli investimenti:
- Posizioni di corta durata nell’acquisto dei bonds, da timore e aspettative di prossimi rialzi nei tassi, di possibile nuova stretta creditizia.
- Continuo acquisto di titoli, di società con maggiori utili, attività di fusioni e acquisizioni, taglio dei costi (anche tramite ampi licenziamenti, riduzione costo del personale), aumento dei dividendi.
Altro elemento da considerare è che tutti gli accadimenti:
- di geopolitica,
- politica,
- di attentati (terrorismo e sicurezza nazionale),
- immigrazione,
- scioperi,
- assenza di Governi stabili in alcuni contesti,
- sanzioni e dazi
che ostacolano i flussi di commercio internazionale, non hanno nei fatti determinato sostanziali effetti collaterali, o ripercussioni, sui mercati finanziari, manifestando il “paradosso” di una fiducia degli operatori in realtà non vera (aleatoria) agli investitori.
Ora questa situazione presenta rischi maggiori, in quanto ha determinato:
- una forte esposizione del mercato immobiliare al rischio rialzo dei tassi e ad una possibile stretta creditizia;
- come pure rispetto ai debiti privati, dei governi, delle aziende, connesse:
- all’uso delle carte di credito,
- alle operazioni di leasing,
- ai mutui,
- alla presenza di potenziali NPL (non performing loans),ovvero crediti non andati a buon fine.
A ciò si aggiunge l’elevata esposizione (debiti) dei Paesi emergenti rispetto ad un possibile rialzo dei TASSI USA.
Il risultato è quello di una maggiore fragilità dell’Economia mondiale e di una minore sostenibilità dello sviluppo.
Per altro verso, i consumi stentano a decollare, al contrario, continuano a flettere, ed il settore supermercati, grandi magazzini e centri commerciali, con l’alto livello di chiusure per fallimento lo dimostra (vedi Toys Rus, catena di giocattoli, e tanti altri).
Se i salari non salgono, la “ripresa” diventa recessione poiché è al solo vantaggio del grande capitale;
- i debiti diventano inesigibili;
- i margini commerciali operativi si riducono inasprendo la concorrenza e portando al fallimento:
- delle aziende di più contenute dimensioni;
- al protezionismo, con interventi governativi tramite dazi;
- a crescenti barriere doganali;
- all’aumento della burocrazia, con difficoltà crescenti nel rilascio di nuove licenze, autorizzazioni, ovvero
- con l’inasprimento delle limitazioni per ragioni mediche, di sicurezza.
E le disparità sociali aumentano, generando tensioni tra i gruppi e disagi economici crescenti, che hanno come una delle conseguenze il fenomeno dell’immigrazione di masse di diseredati verso i Paesi maggiormente sviluppati.
I mercati di quest’ultime settimane stanno già dando chiari segnali che dimostrano un’attenzione crescente verso i problemi enunciati, con i conseguenti timori di possibili nuove crisi finanziarie: è importante saperli raccogliere e correttamente interpretare.
I mercati parlano, ma nessuno (il pubblico degli investitori minori in primis) ascolta.
Foto di pixabay.com / Autore: Dr. Bruno Chastonay. Valente professionista del settore finanziario, ha svolto attività in alcune principali banche elvetiche nei settori della tesoreria, dei metalli e dei derivati. È esperto nella gestione professionale del risparmio su base personalizzata ed è fiduciario finanziario, ai sensi della legislazione elvetica. Ha collaborato con le Università di Bari e Pescara. Attualmente svolge l’attività di analista finanziario globale. Vive e lavora a Lugano.