Vaccini a mRNA e editing genetico CRISPR-Cas


Vaccini a mRNA e editing genetico CRISPR-Cas

L'emergenza sanitaria da COVID-19 ha di fatto legittimato il ricorso ad una nuova generazione di vaccini, che vaccini non sono perché si tratta di terapia genica, basati sulla tecnologia a mRNA, bypassando tutti gli step bioetici e di sicurezza sanitaria che dovrebbero essere applicati ogni volta che si opera su materiale genetico umano. Un precedente pericoloso che rischia di dare il via libera anche a tecniche di editing genetico come la CRISPR-Cas9.

Fino allo scorso anno (2020), i vaccini e le vaccinazioni si sono basate sull'idea di inoculare nell’individuo una versione resa innocua e sicura di un virus o di un altro patogeno altrimenti dannosi. In questo modo il sistema immunitario dell’individuo produce gli anticorpi che proteggeranno l’organismo dall’azione nociva provocata da quell’agente patogeno esterno, qualora il soggetto dovesse venire in contatto con la sua versione naturale. Uno degli approcci maggiormente adottati consiste appunto nell'iniettare una versione indebolita del virus, o del batterio, una pratica che da un lato presenta scarse probabilità di causare effetti collaterali gravi e dall’altro lato è capace di sviluppare una immunità che può durare anche tutta la vita.

Due società cinesi, Sinopharm e Sinovac, hanno utilizzato questo approccio per sviluppare vaccini per COVID-19, rispettivamente il vaccino Vero cells e il vaccino CoronaVac, che sono ad oggi (Aprile 2021) in uso limitato in Cina, Emirati Arabi Uniti e Indonesia. Un altro approccio tradizionale consiste nell'iniettare una subunità del virus, come una delle proteine che si trovano sul mantello del virus. Il sistema immunitario quindi lo ricorderà, consentendo all’organismo di attivare una risposta rapida e robusta quando dovesse entrare in contatto con il virus vero e proprio. Il vaccino contro il virus dell'epatite B, ad esempio, funziona in questo modo.

Prima dell’estate del 2020 la maggior parte degli esperti del settore si aspettava che i vaccini COVID-19 di prima generazione sarebbero stati simili ai vaccini antinfluenzali, che in generale hanno un tasso di efficacia di circa il 50%, e che richiedono anni per poter essere commercializzati. In pochi si aspettavano quella che viene definita come la nuova generazione di vaccini basati sulla tecnologia a mRNA.

Ma da dove trae origine l'idea di ricorrere alla somministrazione controllata di un agente patogeno, batterio o virus, allo scopo di indurre una risposta immunitaria?

L'idea di inoculare una versione resa innocua e sicura di un virus o di un altro patogeno prende origine da una pratica nota come variolizzazione o innesto o variolazione, ovvero l’inoculazione di materiale prelevato dalle pustole di un paziente in fase di guarigione dal vaiolo, per rendere il soggetto inoculato più resistente a future infezioni. Una pratica concettualmente simile alla vaccinazione, ma ben più pericolosa perché basata sull’utilizzo di un virus umano non attenuato per indurre l’immunizzazione.

Il “vaiolo arabo” o “mostro maculato”, come veniva talora definito nei secoli passati, arrivò in Europa probabilmente intorno al 900 d.C. ed ebbe poi ampia diffusione in seguito al ritorno dei crociati dalla Terra Santa. Ad esportare il vaiolo in altri continenti ci pensarono i colonizzatori europei.

Almeno quattro eventi eclatanti dimostrano come la violenza del vaiolo sia stata in grado di modificare il corso della storia. Il primo riguarda Cristoforo Colombo (1451-1506). I nuovi microbi portati dai marinai (1492) della Nina, della Pinta e della Santa Maria sull’isola caraibica Hispaniola, ebbero un impatto devastante sugli abitanti del luogo, contribuendo a spianare la strada agli invasori. Il secondo episodio riguarda il conquistador spagnolo Fernando Cortes (1485-1547) e l’invasione della città azteca di Tenochtitlán (oggi Città del Mexico). I soldati spagnoli lasciarono deliberatamente sul campo di battaglia una sorta di bomba a orologeria sotto forma di soldati morti con infezione vaiolosa. In poche settimane nella capitale azteca morirono un quarto degli abitanti, spianando la strada alla successiva vittoria degli spagnoli, che rasero al suolo Tenochtitlán nel 1521. Un ultimo episodio, ancor più drammatico, riguarda la guerra indiana combattuta tra il 1754 ed il 1767, quando Sir Jeffrey Amherst (1717-1797), comandante delle forze britanniche in Nord America, intenzionato a stroncare la resistenza della popolazione dei nativi nordamericani ostili agli inglesi, su consiglio dell’ufficiale Henry Boquet (1719-1765), fece uso deliberato del vaiolo attraverso la consegna di coperte infette agli indiani. Il risultato, anche qui, fu devastante.

I monaci taoisti Cinesi furono probabilmente i primi a mettere in pratica un metodo di prevenzione del vaiolo nella provincia di Szechuan, già in epoca pre-cristiana. I primi esperimenti di variolizzazione consistevano nell’insufflare nelle narici polvere di croste vaiolose della fase terminale della malattia oppure nel provocare il contatto forzato con vestiti di malati in fase acuta. Veniva così provocato uno stato di malattia con la conseguente risposta immunitaria, anche se ovviamente all’epoca mancava qualsiasi nozione di immunologia. La variolizzazione si diffuse nel XVII secolo verso occidente. Sappiamo che i circassi (gruppo etnico delle regioni a nord-ovest del Caucaso) utilizzavano la tecnica dell’innesto per evitare che il vaiolo sfigurasse le donne, che per loro rappresentavano un florido commercio! Dalla regione caucasica della Circassia, l’innesto si diffuse in Grecia e nella Tessaglia. Sembra che successivamente la tecnica sia arrivata in Turchia nel 1672 proprio per mezzo di “una femmina della Tessaglia” (Girtanner), destinata insieme ad altre donne all’harem del palazzo reale. Nell’Europa occidentale la pratica della variolizzazione fu introdotta intorno al 1720. I primi a caldeggiarne l’utilizzo furono Jacopo Pylarino (1659-1718) ed Emanuele Timoni (1670-1718), che esercitavano la professione medica a Costantinopoli agli inizi del XVIII secolo.

Ma il frutto delle loro osservazioni non avrebbe avuta quella vasta eco che ebbe nell’immediato, se non ci fosse stato l’interessamento della moglie dell’ambasciatore inglese a Costantinopoli, Lady Mary Wortley Montagu (1689-1762), che nel marzo del 1718 aveva fatto ‘variolizzare’ il suo primo figlio dal medico chirurgo dell’Ambasciata, Charles Maitland. Lady Montagu si batté affinché la pratica della variolazione (da lei chiamata ingrafting, impianto, lo stesso termine con cui i contadini inglesi indicavano gli innesti praticati sulle piante) venisse introdotta in Inghilterra, spingendo il Royal College of Physicians di Londra ad eseguire una prova che avesse valore dimostrativo. In Italia vi fu un grande movimento a favore della variolizzazione anche per l’intervento di alcuni intellettuali dell’Epoca dei Lumi come Cesare Beccaria e Pietro Verri. Quello che va sottolineato, è che già a partire dagli anni 60-70 del XVIII secolo, oltre vent’anni prima della vaccinazione vera e propria introdotta (1796) dal medico e naturalista britannico Edward Jenner (1749-1823), considerato il padre della immunizzazione moderna, sono state fatte alcune osservazioni ed alcuni esperimenti riguardanti la vaccinazione, ovvero l’inoculazione non più con il materiale proveniente da pustole del vaiolo umano, ma da quelle del vaiolo vaccino, il cow-pox, malattia caratterizzata dalla presenza di pustole vaiolose sulle mammelle delle vacche malate.

E veniamo così ai nostri giorni. Se il 1796 è ricordato come l’anno in cui la variolazione viene ufficialmente sostituita dalla vaccinazione, il 2020 segna un punto di svolta decisivo nella storia dei vaccini. È l’anno in cui i vaccini tradizionali vengono soppiantati da qualcosa di fondamentalmente nuovo, un nuovo approccio e una nuova “tecnologia”, un sistema basato sull’impiego di RNA messaggero (mRNA) sintetico, reso invisibile al sistema immunitario per non essere attaccato e degradato. Un sistema messo a punto da due ricercatori, la biochimica ungherese Katalin Karikó (oggi vicepresidente senior della ormai nota società biotech BioNTech (1) ) e l’immunologo statunitense Drew Weissman, che ha consentito di mettere a punto, in tempi rapidissimi, i vaccini genetici, vaccini che sfruttano appunto mRNA creato in laboratorio per introdurre nell’organismo (nelle cellule muscolari (2) ) un gene o un frammento di codice genetico opportunamente manipolato, innescando così la risposta anticorpale immunitaria. Già nel 2016, ben prima che scoppiasse la pandemia di COVID-19, Stephane Bacel, Chief Executive Officer di Moderna (l’altra ormai famosa società biotech con sede nel Massachusetts, co-fondata nel 2010 da Derrick Rossi e da un gruppo di professori di Harvard e del Massachusetts Institute of Technology), con sede nel Massachusetts, sapeva che con questa nuova tecnologia sarebbero stati necessari solo 60 giorni per mettere a punto un vaccino e cominciare un test clinico, come si è poi realmente verificato.

Laddove i vaccini tradizionali puntano a indurre una risposta anticorpale immettendo nel corpo umano porzioni innocue del virus di cui si vuole prevenire e contrastare l’infezione, i vaccini genetici a mRNA (ma lo stesso vale anche per ogni altra terapia genica che utilizzi DNA o RNA artificiali) utilizzano un segmento genetico sintetico che va a inserirsi nelle cellule obbligandole a produrre, da sole, componenti del virus bersaglio al fine di stimolare il sistema immunitario del paziente. Per SARS-CoV-2, il virus che causa COVID-19, il componente bersaglio è la sua proteina spike, che fissa l'involucro esterno del virus e gli consente di infiltrarsi nelle cellule umane, e che pare essere particolarmente tossico per l’organismo umano [1].

A prima vista la differenza tra indurre e obbligare può sembrare superflua, ma non lo è, tanto più se la tecnologia genica a mRNA, in questo caso i vaccini a mRNA, viene integrata dalla tecnica di editing geneti¬co nota come CRISPR-Cas9 (acronimo di “Clustered Regularly Interspaced Short Palindromic Repeats and CRISPR-associated protein 9”). L’mRNA può essere infatti programmato per codificare proteine come l’enzima Cas9, che può “tagliare” un genoma e apportare modifiche genetiche per¬manenti, ovvero può guidare enzimi simili a “forbici” (come Cas9 e altre CRISPR-associated proteins), verso sequenze specifiche di DNA al fine di eliminare o modificare un gene. (3)

La CRISPR-Cas9 (si pronuncia “crisper”) è considerata da molti come una scoperta e una rivoluzione pari all’atterraggio sulla luna e allo sviluppo della energia atomica-nucleare. Il sistema CRISPR-Cas9 si basa appunto sull’impiego della proteina Cas9, un enzima che si comporta come una sorta di forbice molecolare in grado di tagliare un DNA bersaglio (nel caso dei coronavirus, che hanno un genoma a RNA e non a DNA, viene utilizzata la proteina batterica Cas13, dimostratasi più adatta di Cas9 nel tagliare l’RNA), che può essere programmata per apportare specifiche modifiche al genoma di una cellula, sia essa animale, umana o vegetale. A seguito del taglio introdotto da Cas9 (o da altre CRISPR-associated proteins), attraverso opportuni accorgimenti, è infatti possibile eliminare o sostituire sequenze di DNA, o di RNA, dal genoma bersaglio.

Il sistema CRISPR-Cas9 è stato identificato originariamente in modo accidentale studiando i batteri, dove la proteina Cas9 svolge la sua funzione di “forbice molecolare” aiutando questi microorganismi a proteggersi da virus patogeni, svolgendo quindi la funzione di una sorta di sistema immunitario dei batteri. Tra il 2012 e il 2013 due gruppi di ricerca americani (provenienti dall’Università di Berkeley e dal MIT di Boston) hanno per primi dimostrato che questa strategia simil-immunitaria può essere presa in prestito dai batteri per essere applicata come strumento biotecnologico per tagliare specifiche sequenze di DNA all’interno del genoma di una cellula non batterica. Il ricorso a questa “forbice molecolare”, il correttore genomico CRISPR-Cas, tuttavia, presenta ancora qualche rischio di indurre mutazioni genetiche non programmate, dovute agli errori di taglio, detti off-target, cioè fuori bersaglio, che possono essere fatti durante l'operazione di “taglia e cuci”.

Una possibilità destinata ad essere ridotta ma non completamente eliminata. In effetti CRISPR-Cas è oggi uno strumento prezioso quando si vuole mettere “knock out” un certo gene, per poi vedere quali effetti ne derivano e capire così la funzione normale del gene messo fuori uso. Vale a dire, è uno strumento prezioso quando lo si utilizza per la ricerca di base nell’ambiente isolato di un laboratorio, in vitro, e rispettando tutte le dovute norme di sicurezza. Il panorama cambia se l’intento con cui si usa il sistema CRISPR-Cas è quello di modificare con l’editing genetico un organismo nel suo habitat naturale, ovvero quando si passa dalla ricerca alle applicazioni in vivo.

Oggi molte équipe di ricerca sono impegnate a usare CRISPR-Cas per trovare la terapia genica di malattie genetiche (in teoria, sostituire un gene difettoso con uno normale), un obbiettivo che esercita sempre un notevole ‘appeal’ sul pubblico. Ma, per poter realizzare questi obbiettivi (senza giocare la carta del “quando una prognosi è infausta il ricorso all’editing genetico offre una speranza che altrimenti sarebbe negata”), è necessario:

  • un livello di precisione e sicurezza ancora ben lontano dall’essere raggiunto [2];
  • un livello di conoscenza, ancora ben lontano dall’essere acquisito, della biofisica che governa la biochimica dei sistemi biologici in generale e della genomica in particolare;
  • un grado di conoscenza, in itinere, degli effetti determinati dalla applicazione della tecnologia genica sul medio e lungo termine.

Nessuna di queste premesse è soddisfatta, mentre le implicazioni insite nella combinazione di “tecnologie” così sofisticate e radicali come quella a mRNA e CRISPR-Cas sono enormi e pongono molteplici quesiti, non ultimi quelli sollevati dalla possibilità che queste tecnologie possano essere impiegate sia legalmente che illegalmente con intenti tutt’altro che nobili e terapeutici. Ad esempio, come strumenti per estorcere informazioni, liberarsi di un avversario politico o dare corso a una nuova forma di selezione artificiale della specie.

Una possibilità, quest’ultima, che riporta alla mente le discriminazioni razziali, le sterilizzazioni di massa, le segregazioni psichiatriche e le epurazioni condotte tra la seconda metà dell’800 e la prima metà del ‘900 all’insegna della distinzione tra “adatti” (fit) e “non-adatti” (unfit), culminate nell’Olocausto ed alimentate dalla tristemente nota Eugenetica (o Eugenica, genetica positiva, contrapposta alla Disgenica, genetica negativa), sottocultura positivista tenuta a battesimo dalla Rivoluzione Industriale 2.0 - seconda metà dell’800 – che ancora oggi, in piena Rivoluzione Industriale 4.0, trova nei transumanisti [3], legittimi eredi dei Costruttori di Dio e del cosmismo russo, (4) dei convinti estimatori e sostenitori.

Gli appassionati di Intelligenza Artificiale, transumanisti in testa, non vedono l’ora, ad esempio, di poter commissionare ai genetisti gameti geneticamente modificati in base alle preferenze del committente e di fornire ai neuro-chirurghi software e micro-chip a reti neurali da impiantare nei cervelli dei pazienti neurologici gravi o dei malati terminali. Due prospettive salutate con favore, in nome del progresso, dal fiorente mercato legale e illegale di OGM e di organi e dall’uso ossessivo-compulsivo di massa dei dispositivi digitali.

Una svolta che ci traghetterà verso una nuova, sconvolgente stagione di procreazioni on-demand e di micro-impianti a dimora dotati di bio-nano-tecnologie informatiche a interazione neurale o d’organo interconnesse nel cloud grazie a una fitta rete di telecomunicazioni satellitari e infrastrutture 5G-6G-7G destinate all’internet delle cose.

Riferimenti:

(1) BioNTech, tra l’altro, detiene anche i diritti di brevetto per una piattaforma di vaccinazione con mRNA progettata per proteggere da allergeni come polline e acari della polvere domestica.

(2) Claudio Messori, COVID-19 una pandemia annunciata, Parte II di III, ECplanet, 8 aprile 2021.

(3) La società di editing Intellia Therapeutics, per esempio, sta portando avanti una di queste terapie a base di mRNA per l’amiloidosi ereditaria da transtiretina, in grado di eliminare il gene responsabile del deficit. In Vivo Therapies - Intellia Therapeutics

(4) Vedi ad es.: Luca Negri, Il cosmismo russo, L’Intellettuale Dissidente del 23 settembre 2017.

Riferimenti []:

[1] Stephanie Seneff, Greg Nigh (2021) Worse Than the Disease? Reviewing Some Possible Unintended Consequences of the mRN"A Vaccines Against COVID-19, International Journal of Vaccine Theory, Practice, and Research, 2(1).

[2] Daniela Conti, Le due facce di CRISPR-Cas: tra ricerca e biotecnocrazia, EfferveScienza (inserto monotematico del mensile Biolcalenda) del 29 agosto 2017.

[3] Messori, C. (2018) , Il Minotauro, Persiani Editore Dall'Uomo-Macchina Illuminista alla Robotizzazione della Società, Bologna.

Claudio Messori / e-mail: messori.claudio(at)gmail.com