Microplastiche diffuse nei frutti di mare


Microplastiche diffuse nei frutti di mare

Le minuscole particelle rilasciate da indumenti, imballaggi e altri prodotti di plastica finiscono nel pesce che mangiamo, evidenziando la necessità di tecnologie e strategie per ridurre l’inquinamento da microfibra che entra nell’ambiente

Le microplastiche e altre particelle di origine antropica (anthropogenic particles - APs) sono contaminanti ambientali pervasivi presenti negli ambienti marini e acquatici. Basandosi su precedenti ricerche che esploravano la prevalenza di microplastiche nei bivalvi come le ostriche del Pacifico e i cannolicchi (1), i ricercatori dell’Applied Coastal Ecology Lab della Portland State University (2) – guidati da Elise Granek, professoressa di scienze e gestione ambientale – hanno rivolto la loro attenzione ai pesci e ai crostacei comunemente consumati.

La dottoressa Summer Traylor, che si è laureata nel 2022 con un master in gestione ambientale, ha guidato il progetto con l'assistenza della studentessa universitaria di scienze ambientali, la dottoressa Marilyn Duncan, laureatasi nel 2024. Il team si è proposto di colmare le lacune sulla contaminazione da microplastica nei pesci e nei molluschi dell'Oregon e meglio comprendere le variazioni tra i livelli trofici, che classificano la posizione di un pesce nella catena alimentare e nei percorsi verso i consumatori. La ricerca di Traylor l’ha aiutata a ottenere un lavoro presso la National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) dopo essersi diplomata alla Portland State University. Inoltre, la dottoressa Duncan ha in programma di continuare la ricerca sulle microplastiche nella scuola di specializzazione.

Il team ha quantificato le particelle antropogeniche, materiali prodotti o modificati dagli esseri umani, che hanno trovato nel tessuto commestibile di sei specie economicamente o culturalmente importanti in Oregon: scorfano nero, merluzzo bianco, salmone chinook, aringa del Pacifico, lampreda del Pacifico e gambero rosa.

Hanno confrontato le concentrazioni di particelle attraverso i livelli trofici e se la loro posizione nella rete alimentare influenzava cosa e quanto contaminava i loro tessuti commestibili, nonché se c’erano differenze nei campioni acquisiti direttamente dai pescherecci da ricerca rispetto a quelli dei supermercati e dei venditori di prodotti ittici. Susanne Brander (3), ecotossicologa e professoressa associata al College of Agricultural Sciences della Oregon State University, ha contribuito ad analizzare e convalidare un sottocampione di plastica sospetta nel suo laboratorio.

Lo studio, pubblicato sulla rivista Frontiers in Toxicology (4), ha rilevato 1.806 particelle sospette in 180 dei 182 campioni individuali. Le fibre erano le più abbondanti, seguite da frammenti e pellicole.

Tra le specie campionate, i gamberetti rosa, che filtrano proprio sotto la superficie dell’acqua, avevano la più alta concentrazione di particelle nei loro tessuti commestibili. Il salmone Chinook aveva le concentrazioni più basse, seguito dallo scorfano nero e dal merluzzo.

«Abbiamo scoperto che gli organismi più piccoli che abbiamo campionato sembrano ingerire più particelle antropiche e non nutrienti», ha detto Granek. «Gamberetti e piccoli pesci, come le aringhe, mangiano alimenti più piccoli come lo zooplancton. Altri studi hanno rilevato alte concentrazioni di plastica nell’area in cui si accumula lo zooplancton e queste particelle di origine antropica potrebbero assomigliare allo zooplancton e quindi essere assorbite dagli animali che si nutrono di esso».

Sebbene il gruppo si aspettasse che la lavorazione dalla cattura al consumo avrebbe introdotto ulteriori contaminanti provenienti dagli imballaggi di plastica destinati a conservare i frutti di mare, ciò non era universalmente vero per tutte le specie. I ricercatori hanno risciacquato i filetti di pesce e i gamberetti, replicando ciò che la maggior parte delle persone fa a casa prima di prepararli, suggerendo che in alcuni casi, ulteriori contaminazioni che potrebbero depositarsi sulla superficie durante la lavorazione possono essere rimosse con il risciacquo.

I risultati dello studio, tuttavia, forniscono la prova della diffusa presenza di particelle nei tessuti commestibili delle specie marine e d’acqua dolce dell’Oregon.

«È molto preoccupante che le microfibre sembrino spostarsi dall’intestino ad altri tessuti come i muscoli», ha detto Susanne Brander. «Ciò ha ampie implicazioni per altri organismi, compresi potenzialmente anche gli esseri umani».

I ricercatori affermano che i risultati segnalano la necessità sia di ulteriori studi per comprendere i meccanismi attraverso i quali le particelle si traslocano nel tessuto muscolare, che gli esseri umani mangiano, sia di interventi politici per regolare le particelle di origine antropica.

«Questo progetto ha stabilito dati di base fondamentali per le parti interessate della pesca della costa occidentale e ha evidenziato quanto ancora non sappiamo su questi inquinanti microplastici pervasivi», ha affermato Traylor, che ora ricopre il ruolo di ufficiale del corpo della NOAA, aiutando a raccogliere dati di riferimento sulla microplastica nel Golfo del Messico per espandere ulteriormente la conoscenza e la comprensione del pubblico.

Gli autori non sostengono che le persone stiano lontane dai frutti di mare perché, come a Granek piace ricordare, le microplastiche sono ovunque: nell’acqua in bottiglia, nella birra, nel miele, nella carne di manzo, nel pollo, negli hamburger vegetariani e nel tofu.

«Se smaltiamo e utilizziamo prodotti che rilasciano microplastiche, queste si diffondono nell’ambiente e vengono assorbite dalle cose che mangiamo», ha affermato. «Ciò che immettiamo nell’ambiente torna nei nostri piatti».

Ecco perché il gruppo di laboratorio di Granek sta iniziando a concentrarsi maggiormente sulle soluzioni.

«Continuiamo a lavorare per comprendere gli effetti delle particelle di origine antropica sugli animali, ma ci stiamo anche muovendo verso un lavoro sperimentale per testare quali siano soluzioni efficaci per ridurre l’ingresso di microplastiche negli ecosistemi marini», ha affermato.

Ella è a capo di un progetto da 1,9 milioni di dollari finanziato dalla NOAA (5) che sta sviluppando e testando filtri per lavatrici, lavastoviglie e asciugatrici che possono fungere da soluzioni di filtrazione economicamente vantaggiose. In un altro progetto finanziato dall’Oregon Sea Grant, sei filtri per bacini di raccolta saranno installati negli scarichi delle acque piovane in due città costiere per determinare la loro efficacia nell’intrappolare le microplastiche provenienti dal deflusso stradale prima di entrare nei corsi d’acqua. Anche il laboratorio di Brander sta collaborando a entrambi i progetti.

Riferimenti:

(1) Microplastics found in oysters, clams on Oregon coast — and our clothing is partly to blame, PSU study finds

(2) PSU’s Applied Coastal Ecology Lab

(3) Susanne Brander

(4) From the ocean to our kitchen table: anthropogenic particles in the edible tissue of U.S. West Coast seafood species

(5) PSU awarded $1.9M NOAA grant to address microplastic pollution in coastal communities

Descrizione foto: Il team ha quantificato le particelle di origine antropica trovate nel tessuto commestibile di sei specie economicamente o culturalmente importanti in Oregon (in senso orario dall'alto a sinistra): salmone Chinook, merluzzo bianco, scorfano nero, gambero rosa, aringa del Pacifico e lampreda del Pacifico. - Credit: NOAA Fisheries, Oregon Department of Fish & Wildlife, North Carolina Wildlife Resource Commission.

Autore traduzione riassuntiva e adattamento linguistico: Edoardo Capuano / Articolo originale: Microplastics widespread in seafood Oregonians eat, PSU study finds