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- Posted By: Redazione
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Questo articolo è stato postato lo scorso mese di marzo 2106. Tuttavia risulta ancora molto attuale ! «Nel 2014, 1 milione 470 mila famiglie residenti in Italia (il 5,7% del totale) sono stimate attraverso l’indagine in condizione di povertà assoluta, si tratta di 4 milioni e 102 mila individui (il 6,8% dell’intera popolazione)».
Questi gli allarmanti dati presentati dall’Istat in audizione alla Camera davanti alle commissioni Lavoro e Affari sociali per il ddl povertà. Il fenomeno – continua l’Istat – appare più diffuso tra le famiglie residenti nel Mezzogiorno, dove si stimano in condizione di povertà circa 704 mila famiglie (l’8,6% del totale), pari a 1,9 milioni di individui poveri (il 45,5% del totale dei poveri assoluti).
Livelli elevati di povertà assoluta sono stati osservati dall’Istat «anche per le famiglie con cinque o più componenti (16,4%), soprattutto se coppie con tre o più figli (16%), e per le famiglie con membri aggregati (11,5%); l’incidenza sale al 18,6% se in famiglia ci sono almeno tre figli minori e scende nelle famiglie di e con anziani (4% tra le famiglie con almeno due anziani)».
Nel corso degli anni, soprattutto durante la recente crisi, «l’incidenza e i profili della povertà assoluta si sono modificati», ha sottolineato l’Istat. Fino al 2011, infatti, la diffusione del fenomeno «si è mantenuta stabile su livelli prossimi al 4% delle famiglie residenti, seppure con dinamiche differenziate nei sottogruppi di popolazione.
Un deterioramento della situazione, generalizzato a tutte le ripartizioni, è emerso nel 2012 e nel 2013 quando l’incidenza di povertà assoluta mostra un aumento di circa 2 punti percentuali a livello familiare (dal 3,4% al 4,4% nel Nord, dal 3,6% al 4,9% nel Centro, dal 5,1% al 10,1% nel Mezzogiorno). Nel 2014, la crescita della povertà assoluta si è invece fermata», ha aggiunto l’Istat.
Per quanto concerne il profilo dei poveri assoluti, il cambiamento più evidente secondo l’Istat ha riguardato la crescente vulnerabilità dei minori. Al contempo l’Istituto di statistica ha invece osservato «un miglioramento della condizione degli anziani, tra i quali, tuttavia, si evidenzia lo svantaggio delle donne che possono contare su pensioni di importo mediamente più modesto e che più spesso vivono con figli che hanno difficoltà a raggiungere l’indipendenza economica».
Lo Svimez: inadeguata la risposta del governo alla povertà
Inoltre, «si stimano in 50 mila 724 le persone senza dimora che, nei mesi di novembre e dicembre 2014, hanno utilizzato almeno un servizio di mensa o accoglienza notturna nei 158 comuni italiani in cui è stata condotta l’indagine», dice ancora l’Istat in merito al ddl povertà, in cui è stato spiegato che le stime sulla povertà assoluta escludono la popolazione senza dimora. L’ammontare citato – continua la relazione Istat – «corrisponde al 2,43 per mille della popolazione regolarmente iscritta presso i comuni considerati dall’indagine, valore in aumento rispetto a tre anni prima, quando era il 2,31 per mille (47 mila 648 persone)». Oltre metà delle persone senza dimora vive nel Nord (circa il 56%). Rispetto al 2011 l’Istat poi osserva una diminuzione della quota di persone senza dimora nel Nord-est (dal 19,7% al 18%), cui si contrappone l’aumento nel Sud (dall’8,7% all’11,1%). Rispetto al 2011, «vengono confermate anche le principali caratteristiche delle persone senza dimora: si tratta per lo più di uomini (85,7%), stranieri (58,2%), con meno di 54 anni (75,8%), con basso titolo di studio», conclude l’Istat.
Ancora più preoccupante quanto affermato dallo Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno), secondo cui la prospettiva di entrare sotto la soglia di povertà «è arrivata al Sud a punte che superano il 30% di probabilità, con picchi in Sicilia che arrivano al 42%». A dirlo è il presidente dello Svimez, Adriano Giannola, durante un’audizione sul ddl povertà presso le commissioni riunite Lavoro e Affari sociali. «È un rischio che ci auguriamo che nessuno sopporti, ma si tratta di una prospettiva estremamente preoccupante e molto collegata alle prospettive del mercato occupazionale», ha continuato Giannola, spiegando che molto deriva anche dal fatto che soprattutto al Sud le famiglie siano monoreddito e che in generale il tema del lavoro femminile sia esasperato da un tasso d’occupazione estremamente più basso.
Sulle misure relative al contrasto della povertà contenute nel disegno di legge del governo – prosegue Giannola – «siamo perplessi che, pur trattandosi di un inizio di un percorso, si intervenga nel 2016 con certo ammontare che resterà uguale nel 2017, e che si rischia che resti così anche nel 2018, senza coprire molte esigenze». Sarebbe meglio, secondo Giannola, optare per il reddito di inclusione sociale che compenserebbe la differenza tra il reddito percepito e una soglia minima prestabilita dello stesso «per coprire tutti i 4 milioni di poveri in Italia e non solo l’1,2 milioni del Piano del governo».
Per la misura servirebbero risorse iniziali per 4-5 miliardi l’anno, ha aggiunto Giannola.
Fonte: secoloditalia.it