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- Posted By: Redazione
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Un miliardo e 100 milioni di posti di lavoro, a livello globale, potrebbero essere sostituiti dai robot nel corso di poco più di una generazione.
Secondo il Rapporto del Mc Kinsey Global Institute il 49% delle attività lavorative potrà essere automatizzato già a partire dalle tecnologie esistenti. Sarebbe solo questione di tempo, anzi di un tempo relativamente breve. Il che significa che un miliardo e 100 milioni di posti di lavoro, a livello globale, potrebbero essere sostituiti dai robot nel corso di poco più di una generazione.
È una previsione terrificante, tenendo conto che, nel frattempo, le tecnologie esistenti saranno in via di rinnovamento a velocità crescente. Cioè i posti di lavoro riservati agli umani diminuiranno di anno in anno in termini variamente geometrici. Per l'Occidente e per l'Oriente. Molto più drammaticamente per l'Oriente di quanto non sarà per l'Occidente.
Lo stesso rapporto citato — che già sta facendo parlare di sé in tutto il mondo — aggiunge, per soprammercato, tra le molte altre sconvolgenti proiezioni, che circa il 60% di tutti i posti di lavoro inventati dall'uomo contemporaneo possono essere automatizzati per circa il 30% delle loro funzioni, mentre è già ora possibile calcolare la completa automatizzazione futura del 5% delle rimanenti.
Dunque sono in vista, letteralmente in vista per la prossima generazione, sconvolgimenti quantitativi e qualitativi. Ci sarà una enorme massa di persone che si troveranno “in eccesso”, cioè non più necessarie per un processo di produzione di merci e servizi che sarà in grado di andare avanti senza di loro. E queste masse di persone “liberate dal lavoro” non staranno immobili nelle aree del pianeta in cui si trovano in un dato momento, ma si muoveranno vorticosamente.
In direzioni opposte a quelle cui stiamo assistendo nella presente fase di una nuova rivoluzione industriale che ancora non ha assunto un numero d'ordine, la terza, forse la quarta, che diverrà in poco tempo la quinta. I processi migratori attuali verranno travolti e invertiti nel loro contrario. Questa “inversione” è solo ai primi passi, ma — se queste previsioni non verranno cancellate da sconvolgimenti ancora più grandi e imprevedibili — condurranno alla fine dell'attuale spostamento delle attività produttive dai paesi industrialmente avanzati dell'Occidente verso l'Asia, l'Africa e l'America Latina.
Già oggi, scrive ancora Elena Larina, “i robot prodotti negli Stati Uniti e in Giappone, con un ammortamento di due anni in media, sono già, in produzione di serie, più economici della forza lavoro cinese o indonesiana”. Valga per tutti questo dato: solo nel 2015, più di seimila imprese statunitensi sono ritornate in patria dalle diverse aree asiatiche nelle quali si erano dislocate per economizzare sui costi.
A questi dati se ne aggiunge uno non meno importante dei precedenti. Gli effetti della robotizzazione sono già — e saranno ancora più nel corso dei prossimi anni — di gran lunga più devastanti nei paesi tecnologicamente meno sviluppati. La “liberazione” imposta dalle tecnologie, applicata a società con bassa produttività del lavoro, moltiplicherà molto più massicciamente il numero dei senza lavoro nei paesi che oggi chiamiamo eufemisticamente “in via di sviluppo”.
Nei primi dieci anni del XXI secolo, si prevedeva che, nel corso dei venti anni successivi, l'Europa avrebbe avuto bisogno di almeno 20 milioni di immigrati, per fare fronte al basso grado di natalità di tutti i suoi paesi. Ma queste previsioni, a distanza di soli dieci anni, sembrano già spazzate via da realtà possenti che non erano state calcolate. Il quadro che si delinea è di gran lunga più inquietante: l'Europa non avrà bisogno di questa immigrazione, che si annuncia enormemente più grande di quella che già oggi non siamo in condizione di assorbire. E la disoccupazione di massa si estenderà anche nei paesi industrialmente sviluppati. È probabile che dovremo rifare tutti i calcoli.