Scienza

Gli esseri umani hanno modi più universali di esprimere la felicità

Secondo una nuova ricerca scientifica i volti possono trasmettere una moltitudine di emozioni: dalla rabbia, alla tristezza, alla felicità sfrenata

Gli esseri umani hanno modi più universali di esprimere la felicità rispetto a qualsiasi altra emozione.

Secondo una nuova ricerca scientifica, pubblicata sulla rivista IEEE Transactions on Affective Computing,(1) gli esseri umani possono configurare i loro volti in migliaia e migliaia di modi per trasmettere emozioni, ma solo 35 espressioni riescono effettivamente a fare il lavoro attraverso le culture. Mentre i nostri volti possono trasmettere una moltitudine di emozioni - dalla rabbia, alla tristezza, alla gioia sfrenata - il numero di modi in cui le nostre facce possono trasmettere emozioni diverse varia. Il disgusto, per esempio, ha bisogno di una sola espressione facciale per ottenere una sua mimica in tutto il mondo.

Il dottor Aleix M Martinez,(2) scienziato cognitivo, professore di ingegneria elettrica e informatica(3) presso la Ohio State University e coautore dello studio, ha dichiarato: “Per me è stato un piacere scoprire queste dinamiche espressive che scaturiscono dai volti degli esseri umani. Ho potuto studiare la complessa natura della felicità.”

Lo studio ha rilevato che le differenze nel modo in cui i nostri volti trasmettono la felicità possono essere semplici come le dimensioni dei nostri sorrisi o le rughe vicino ai nostri occhi. Gli umani usano tre espressioni per trasmettere la paura, quattro per trasmettere sorpresa, cinque per trasmettere tristezza e cinque per trasmettere rabbia.

“La felicità agisce come un collante sociale e richiede la complessità delle diverse espressioni facciali; il disgusto è solo questo: disgusto”, puntualizza il dottor Aleix M Martinez.

I risultati si basano sul precedente lavoro(4) di Martinez sulle espressioni facciali che ha scoperto come le persone possono identificare correttamente le emozioni di altre persone, circa il 75% delle volte, basandosi unicamente su sottili cambiamenti nel modo in cui il sangue colora il naso, le sopracciglia, le guance o il mento.

Il kiwi è ricco di nutrienti come la vitamina C

Esistono ben 54 specie e 21 varietà botaniche di kiwi, della famiglia delle Actinidiaceae, tra cui la versione gialla, dal bouquet ancora più esotico

Ex frutto esotico, l'ormai italianissimo kiwi è ricco di nutrienti come la vitamina C.

Il più comune è a polpa verde, ma esistono ben 54 specie e 21 varietà botaniche tra cui la versione gialla, dal bouquet ancora più esotico. È un protagonista indiscusso sulle tavole di tutto il mondo. Della famiglia delle Actinidiaceae, genere Actinidia, proviene dalla Cina e lì inizia la sua domesticazione intorno alla metà del VIII secolo.

All'inizio del secolo scorso approda in Nuova Zelanda per poi espandersi a livello planetario negli anni '60 e '70, spingendo i produttori a puntare sulla varietà Hayward a polpa verde, i frutti a cui tutti siamo abituati.

“Da molti anni l'Italia si contende con la Nuova Zelanda il primato di produttore e protagonista sui mercati internazionali (dati Faostat)”, afferma Alberto Battistelli, ricercatore dell'Istituto di biologia agro-ambientale e forestale (Ibaf) del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr). E sebbene la Cina sia il primo Paese per produzione e mercato interno, con oltre due milioni di tonnellate prodotte, circa quattro volte quelle dell'Italia, nel 2017 il valore delle nostre esportazioni è stato di quasi mezzo miliardo di euro, il terzo tra le specie da frutto, dietro solo all'uva da tavola e alle mele. L'esportazione è in continua evoluzione: se l'Unione Europea è ancora un importante acquirente del prodotto italiano, insieme a Stati Uniti e Canada, ottime prospettive sembrano nascere nei mercati orientali”.

Per il 2018 si stima che in Italia la produzione di kiwi a polpa verde sarà di circa 373mila tonnellate, 13% in più rispetto al 2017 ma 16% in meno rispetto alla media produttiva dei quattro anni precedenti, per problemi legati ad aspetti climatici, cui vanno aggiunte 60mila tonnellate a polpa gialla, circa l'8% del totale dei paesi analizzati dell'emisfero nord.

Neurostimolatore wireless per i disturbi neurologici

Il nuovo neurostimolatore WAND funziona come un pacemaker per il cervello. Effettua trattamenti mirati ai pazienti affetti da epilessia e Parkinson

Un nuovo neurostimolatore sviluppato dagli ingegneri dell'UC Berkeley può percepire e stimolare la corrente elettrica nel cervello allo stesso tempo, offrendo trattamenti mirati ai pazienti con malattie come l'epilessia e il Parkinson.

Il dispositivo, chiamato WAND, funziona come un “pacemaker per il cervello”, controlla l'attività elettrica del cervello fornendo una stimolazione elettrica nel momento in cui rileva qualcosa di anomalo.

Questi dispositivi possono essere estremamente efficaci per prevenire tremori o convulsioni debilitanti in pazienti con una varietà di condizioni neurologiche. Gli impulsi elettrici che precedono un attacco o un tremore possono essere estremamente deboli. Per prevenire questi disturbi neurologici la frequenza e la forza della stimolazione elettrica richieste devono essere particolarmente mirate.

I precedenti dispositivi offrivano un trattamento ottimale solo dopo anni di piccoli aggiustamenti da parte dei medici. 'WAND' (Wireless Artifact-free Neuromodulation Device) è un dispositivo wireless autonomo: nel momento in cui riconosce i segni del tremore o delle convulsioni, ha la capacità di regolare autonomamente i parametri di stimolazione che inibiscono i movimenti indesiderati. Questo dispositivo a circuito chiuso può stimolare e registrare simultaneamente, ma anche regolare i parametri in tempo reale. 'WAND' può registrare l'attività elettrica su 128 canali o da 128 punti nel cervello. Un coefficiente molto elevato se si considera che i tradizionali sistemi a circuito chiuso si basano su otto canali. Per dimostrare il dispositivo, il team ha utilizzato 'WAND' per riconoscere e ritardare i movimenti specifici del braccio nei macachi Rhesus. Il dispositivo è descritto in uno studio apparso in Nature Biomedical Engineering.(1)

La dottoressa Rikky Muller,(2) una assistente professoressa di ingegneria elettronica e scienze informatiche a Berkeley spiega: “Il processo per trovare la giusta terapia di un paziente è estremamente costoso e può richiedere anni. Una significativa riduzione dei costi e della durata può potenzialmente portare a risultati e accessibilità notevolmente migliorati. Vogliamo consentire al dispositivo di capire qual è il modo migliore per stimolare un dato paziente a dare i migliori risultati. E puoi farlo solo ascoltando e registrando i segnali neurali.”

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