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Carestia, collasso economico, un sole che ci cuoce: cosa possono infliggerci i cambiamenti climatici – più presto di quello che pensiamo.
1. Il giorno del giudizio
Sbirciando oltre le reticenze scientifiche…
E’ peggio di quello che pensate, ve lo assicuro. Se le vostre preoccupazioni sul riscaldamento globale sono dominate dalla paura per l’innalzamento del livello del mare, state appena scalfendo la superficie dei terrori possibili, anche riferendosi al tempo di vita di un teenager di oggi. E si che il rigonfiarsi dei mari – e le città che affogheranno – hanno dominato l’immagine del riscaldamento globale, e così travolto la nostra capacità di panico climatico, impedendoci di percepire altre minacce, molto più a portata di mano. L’innalzamento degli oceani è una brutta cosa, in effetti molto brutta; ma fuggire dalle coste non sarà sufficiente.
Di certo, non essendoci un adeguamento significativo del modo di vivere di miliardi di persone, parte della Terra diventerà probabilmente pressoché inabitabile, e l’altra parte terribilmente inospitale, prima della fine del secolo.
Anche quando abbiamo l’occhio allenato ai cambiamenti climatici, non riusciamo a comprendere il suo scopo.
Lo scorso inverno, una serie di giornate più calde di 60 e 70 gradi rispetto al normale, hanno letteralmente cotto il Polo Nord, sciogliendo il permafrost che ricopre la camera blindata del seme delle Svalbard norvegesi – una banca globale del cibo chiamata “Doomsday”, il Giorno del Giudizio, creata per assicurare che la nostra agricoltura sopravviva ad ogni catastrofe, e che sembra essere stata inondata dai cambiamenti climatici meno di dieci anni dopo essere stata costruita.
La camera blindata Doomsday sta bene, per ora: la struttura è stata messa in sicurezza e i semi sono salvi. Ma considerare l’episodio come la parabola di un’ imminente alluvione fa perdere le notizie più importanti. Fino a poco tempo fa, il permafrost non era una delle principali preoccupazioni degli scienziati del clima, perché, come suggerisce il nome, si tratta di suolo che rimane permanentemente congelato. Ma il permafrost Artico contiene 1800 miliardi di tonnellate di carbonio, più del doppio di quanto è attualmente sospeso nell’atmosfera terrestre. Quando disgela e viene rilasciato, questo carbonio può evaporare come metano, che è un gas serra con potenzialità di riscaldamento globale 34 volte più potente rispetto al biossido di carbonio, misurato su una scala temporale di un secolo; se misurato su una scala temporale di due decadi, è 86 volte più potente. In altre parole, abbiamo, intrappolato nel permafrost artico, due volte più carbonio di quanto ne stia attualmente andando alla deriva nell’atmosfera del pianeta, tutto quanto in programma di essere rilasciato ad una data che continua a muoversi, in parte sotto forma di un gas che moltiplica il suo potere di riscaldamento di 86 volte.
Forse lo sapete che già – ci sono storie allarmanti nei giornali tutti i giorni, come quella del mese scorso, che sembrava suggerire che i dati satellitari mostravano che il riscaldamento globale del 1998 era stato due volte più veloce di quello che gli scienziati avevano pensato (di fatto, la storia che seguiva era molto meno allarmante del titolo). O le notizie dall’Antartide dello scorso maggio, quando una rottura nel ghiacciaio è aumentata di 11 miglia in sei giorni, e continua a progredire; ora mancano solo 3 miglia alla frattura – per quando leggerete queste righe, potrebbe avere già raggiunto il mare aperto, dove farebbe cadere nel mare uno dei più grandi iceberg di sempre, un processo poeticamente conosciuto con il nome di “calving” (“partorire” [ndt]).
Ma non importa quanto siete bene informati, di sicuro non siete sufficientemente allarmati. Nelle scorse decadi, la nostra cultura è andata apocalitticamente con film zombie e distopie Mad Max, forse il risultato collettivo del trasferimento dell’ansia climatica, e così quando arriviamo a contemplare i pericoli del riscaldamento nel mondo reale, soffriamo di un incredibile carenza di immaginazione. Le ragioni per questo sono molteplici: il timido linguaggio delle probabilità scientifiche, che una volta il climatologo James Hansen ha definito “reticenza scientifica” in un articolo che strigliava gli scienziati per editare le proprie osservazioni in maniera così coscienziosa che fallivano nel comunicare quanto davvero urgente fosse la minaccia; il fatto che il paese è dominato da un gruppo di tecnocrati che credono che ogni problema può essere risolto e una cultura opposta che neanche vede che il riscaldamento è un problema difficile da affrontare; il modo in cui il negazionismo climatico ha reso gli scienziati ancora più cauti nell’offrire avvertimenti speculativi; la semplice velocità dei cambiamenti e, anche, la sua lentezza, come il fatto che ora stiamo solo vendendo gli effetti del riscaldamento dei decenni passati; la nostra incertezza sull’incertezza, che come ha suggerito in particolare la scrittrice sul clima Naomi Oreskes, ci impedisce di prepararci al peggio dato che pensiamo che anche la previsione media sia possibile; il modo in cui noi assumiamo che il cambiamento climatico colpirà più forte altrove, non ovunque; la piccolezza (due gradi) e grandezza (1.8 milioni di miliardi di tonnellate) e astrattezza (400 parti per milione) dei numeri; il malessere di considerare un problema che è molto difficile, se non impossibile, da risolvere; la scala totalmente incompressible del problema, che rappresenta la prospettiva del nostro annientamento; semplice paura. Ma l’avversione che nasce dalla paura, è anche quella un forma di rifiuto.
Nel frattempo, reticenza scientifica e fantascienza sono la scienza stessa. Questo articolo è il risultato di dozzine di interviste e scambi con climatologi e ricercatori in campi correlati, e riflette centinaia di articoli scientifici sull’argomento dei cambiamenti climatici. Ciò che segue non è una serie di previsioni su ciò che accadrà – che sarà in larga parte determinato dalla molto meno certa scienza della risposta umana. Invece, è un ritratto della nostra migliore comprensione di dove il pianeta stia dirigendo un’azione aggressiva. E’ improbabile che tutti questi scenari di riscaldamento saranno completamente realizzati, in gran parte perché la devastazione lungo la via dovrebbe scuotere la nostra compiacenza. Ma questi scenari, e non il clima attuale, sono la baseline. Infatti, sono loro il nostro programma.
Il momento attuale del cambiamento climatico – la distruzione che abbiamo già cucinato per il nostro futuro – è orribilmente abbastanza. Molte persone parlano come se Miami e il Bangladesh abbiano ancora una possibilità di sopravvivenza; la maggior parte degli scienziati con cui ho parlato considera che le perderemo entro il secolo, anche se smettessimo di bruciare combustibili fossili nel prossimo decennio. Due gradi di riscaldamento erano considerati la soglia della catastrofe: decine di milioni di rifugiati climatici scatenati in un mondo non preparato. Ora due gradi è il nostro obiettivo, nell’accordo sul clima di Parigi, e gli esperti ci danno solo poche possibilità di centrarlo. Il gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite (IPCC) ha pubblicato una serie di rapporti, spesso definiti come lo “standard d’oro” della ricerca sul clima; il più recente fa una proiezione di quattro gradi di riscaldamento per l’inizio del prossimo secolo, se continuiamo come ora. Ma questa è solo una proiezione media. Il limite massimo della curva di probabilità sale a otto gradi – e gli autori non hanno ancora immaginato come gestire lo scioglimento del permafrost. Il rapporto IPCC non tiene neanche completamente in considerazione l’effetto albedo (meno ghiaccio significa meno radiazione solare riflessa e più assorbita, quindi maggiore riscaldamento); la maggiore copertura nuvolosa (che intrappola il calore); o la morte delle foreste e di altra flora (che estrae carbone dall’atmosfera). Tutto ciò promette di accelerare il riscaldamento e la storia del pianeta mostra che la temperatura può variare più di 5 gradi Celsius in trenta anni. L’ultima volte che il pianeta era più caldo di quattro gradi, come Peter Brannen ha sottolineato in “Le fini del Mondo“, c’è stata la maggiore estinzione della storia recente del pianeta, e gli oceani erano centinaia di piedi più alti.*
La Terra ha visto cinque grandi estinzioni di massa prima di quella che stiamo attraversando adesso, ciascuna delle quali ha completato una lastra di ardesia del record evolutivo, funzionando come un reset dell’orologio planetario, e molti scienziati del clima vi diranno che sono il miglior analogo per il futuro ecologico in cui ci stiamo tuffando a capofitto. A meno che siate teenager, avrete probabilmente letto nei libri di scuola che queste estinzioni sono state causate da asteroidi. In effetti, ad eccezione di quella che ha ucciso i dinosauri, sono state causate dai cambiamenti climatici prodotti dai gas serra. La più famosa ha avuto luogo 252 milioni di anni fa; è iniziata quando il carbonio ha riscaldato il pianeta di 5 gradi, ha accelerato quando il riscaldamento ha innescato il rilascio di metano in Artico e si è conclusa con la morte del 97% della vita sulla Terra. Noi stiamo aggiungendo carbonio in atmosfera ad una velocità notevolmente più elevata; secondo la maggior parte delle stime, dieci volte più velocemente. Il tasso sta accelerando. Questo è ciò che Steven Hawking aveva in mente quando ha detto, questa primavera, che le specie hanno bisogno di colonizzare altri pianeti nel prossimo secolo per sopravvivere, e ciò che ha guidato Elon Musk, lo scorso mese, nello svelare il suo piano di costruire un habitat su Marte entro 40-100 anni. Loro non sono specialisti, certo, e probabilmente sono inclini a paure irrazionali proprio come voi o me. Ma i molti lucidi scienziati che ho intervistato negli ultimi mesi – i più accreditati e riconosciuti nel campo, pochi dei quali inclini all’allarmismo e molti collaboratori dell’IPCC che criticano comunque il suo approccio conservazionistico – hanno comunque raggiunto tranquillamente una conclusione apocalittica: nessun plausibile programma di riduzione delle emissioni può da solo prevenire il disastro climatico.
Nel corso delle ultime decadi, un nuovo termina il termine ha scalato i discorsi accademici e l’immaginario collettivo: “Antropocene” – il nome dato all’era geologica in cui viviamo e un modo per indicare che si tratta di una nuova era, definita sul grafico della storia antica dall’intervento dell’uomo. Uno dei problemi del termine è che implica una conquista della natura (addirittura echeggia al “dominio” biblico). E per quanto si può essere ottimisti sul fatto che abbiamo già devastato il mondo naturale, cosa che sicuramente abbiamo fatto, è tutt’altra cosa considerare la possibilità che abbiamo solo provocato questa devastazione, progettando prima con ignoranza e poi con negazionismo un sistema climatico che ora farà la guerra contro di noi per molti secoli, fino a distruggerci. Questo è ciò che Wallace Smith Broecker, l’oceanografo che ha coniato il termine “riscaldamento globale”, intendeva quando chiama il pianeta “bestia arrabbiata”. Potreste anche usare “macchina da guerra”. Ogni giorno l’armiamo di più.
* Articolo apparso il 10 luglio 2017 su New York Magazine.
2. Morte termica
New York come il Bahrein.
Gli umani, come tutti i mammiferi, sono macchine termiche; sopravvivere significa doversi continuamente raffreddare, come cani ansimanti. Per questo è necessario che la temperatura sia sufficientemente bassa da permettere all’aria di funzionare come una sorta di refrigerante, tirando via calore dalla pelle così che il motore possa continuare a pompare. Con un riscaldamento di 7 gradi, questo diventerebbe impossibile per larga parte della fascia equatoriale del pianeta, e specialmente per i tropici, dove si aggiunge anche il problema dell’umidità; nella giungla della Costa Rica, per esempio, dove l’umidità raggiunge abitualmente punte del 90%, semplicemente farsi un giro fuori quando la temperatura è sopra i 105 gradi Fahrenheit [circa 40°C, ndt] potrebbe essere letale. E l’effetto sarebbe veloce: nel giro di poche ore un corpo umano sarebbe cotto fino alla morte, sia fuori che dentro.
Gli scettici del cambiamento climatico puntualizzano che il pianeta si è riscaldato e raffreddato molte volte in passato, ma la finestra climatica che ha permesso la vita umana è molto stretta, anche per gli standard della storia planetaria. A 11 o 12 gradi di riscaldamento, più della metà della popolazione mondiale, così come è distribuita oggi, morirebbe direttamente per il calore. Quasi certamente in questo secolo non si raggiungeranno queste temperature, anche se i modelli che considerano le emissioni senza abbattimenti ci dicono che alla fine accadrà. Questo secolo, soprattutto ai tropici, la soglia del dolore sarà raggiunta molto più rapidamente anche di un aumento di sette gradi. Il fattore chiave è una cosa chiamata “temperatura a bulbo umido”, che è un termine di misura da kit di laboratorio domestico che può essere definito come il calore registrato da un termometro avvolto in un calzino umido mentre è fatto roteare in aria (siccome l’umidità evapora da un calzino più rapidamente nell’aria asciutta, questa singola misura riflette sia il calore che l’umidità). Attualmente, molte regioni raggiungono una temperatura a bulbo umido massima di 26 o 27 gradi Celsius; la vera linea rossa per l’abitabilità è di 35 gradi. Quello che chiamiamo stress da calore arriva molto prima.
In realtà, ci siamo quasi. Dal 1890, il pianeta ha visto aumentare di 50 volte il numero di posti con caldo pericoloso o estremo; un aumento maggiore sta per arrivare. Le cinque estati più calde in Europa dal 1500 sono tutte state dal 2002, e presto, l’IPCC avverte, semplicemente stare fuori casa quel periodo dell’anno sarà insalubre nella maggior parte del globo. Anche se raggiungessimo gli obiettivi di Parigi di due gradi di riscaldamento, città come Karachi e Kolkata sarebbero quasi inabitabili, subendo annualmente ondate di calore mortali come quelle che le hanno colpite nel 2015. A 4 gradi, l’ondata di calore mortale Europea del 2003, che uccise 2000 persone in un giorno, sarebbe un’estate nella norma. A sei gradi, secondo una valutazione incentrata solo sugli effetti negli USA fatta dal National Oceanic and Atmospheric Administration, fare qualsiasi lavoro in estate diventerebbe impossibile nella bassa Valle del Mississippi, e chiunque nel paese a est delle Montagne Rocciose sarebbe sottoposto ad uno stress di calore maggiore che chiunque, in qualunque posto del mondo oggi.
Come ha messo Joseph Romm nel suo autorevole manuale di base “Cambiamenti Climatici: ciò che ciascuno deve sapere”, lo stress da calore in New York City supererà quello attuale del Bahrain, uno dei punti più caldi del pianeta, e le temperature in Bahrain “indurranno ipertermia anche nelle persone addormentate”. Le stime IPCC dello scenario di massima, ricorda, è ancora due gradi più caldo. Entro la fine del secolo, ha stimato la Banca Mondiale, il mese più freddo nei tropici del Sud America, Africa e nel Pacifico, è probabile che saranno più caldi del mese più caldo alla fine del ventesimo secolo. L’aria condizionata può aiutare ma alla fine aggiunge solo carbonio al problema; di più: lasciando da parte i centri commerciali climaticamente controllati degli emirati arabi, non è lontanamente plausibile usare aria condizionata su larga scala per tutte le parti più calde del mondo, molte delle quali sono anche le più povere. E infatti, la crisi sarà molto più drammatica nel Medioriente e nel Golfo Persico, dove nel 2015 l’indice di calore ha registrato temperature alte fino a 163 gradi Fahrenheit [72°C, ndt]. Nel giro di poche decadi da ora, l’haii diventerà fisicamente impossibile per i 2 milioni di Mussulmani che fanno il pellegrinaggio ogni anno.
Non è solo l’hajj e non è solo la Mecca; il calore già ci sta uccidendo. Nella regione della canna da zucchero di El Salvador, un quinto della popolazione ha problemi cronici ai reni, compreso oltre un quarto degli uomini, presunto risultato della disidratazione per lavorare nei campi che erano in grado di raccogliere comodamente di recente come due decenni fa. Con la dialisi, che è costosa, coloro con problemi ai reni hanno aspettative di vita di 5 anni; senza dialisi, l’aspettativa di vita è dell’ordine di settimane. Di certo, lo stress da calore promette di prenderci a pugni anche in posti differenti dai nostri reni. Mentre sto scrivendo questa frase, nel deserto della California a metà giugno sono 121 gradi F [49.4 °C, ndt] fuori dalla mia porta. E non è un record.
3. La fine del cibo
Pregando per campi di mais nella tundra
I climi sono differenti e le piante variano, ma la regola di base per la crescita ottimale delle principali colture di cereali è che per ogni grado di riscaldamento le rese scendono del 10%. Secondo alcune stime addirittura anche del 15 o addirittura del 17%. Ciò significa che se il pianeta sarà 5 gradi più caldo alla fine del secolo, avremo circa il 50% di popolazione in più da sfamare e il 50% in meno di grano da dargli. E per le proteine sarà anche peggio. Ci vogliono 16 calorie di grano per produrre una sola caloria di carne da hamburger, macellata da una mucca che ha passato tutta la sua vita ad inquinare emettendo peti di metano.
I fisiologisti di piante polinesiane sottolineano che la matematica dei cereali si applica solo a quelle regioni che hanno già un picco di temperatura crescente, e hanno ragione: in teoria un clima più caldo renderebbe più semplice coltivare mais in Groenlandia. Ma come ha mostrato il lavoro pionieristico di Rosamond Naylor e David Battisti, i tropici sono già troppo caldi per far crescere i cereali in maniera efficiente e quei posti in cui il grano è prodotto oggi sono già alla temperatura ottimale di crescita; il che significa che anche piccoli aumenti della temperature potrebbero spingerli giù dalla curva del declino della produttività. E non si possono sposare colture di cereali facilmente poche miglia a nord perché i rendimenti in posti remoti come Canada e Russia sono limitati dalla qualità dei suoli, ci vogliono diversi secoli al pianeta per produrre dell’ottimo terriccio fertile.
La siccità potrebbe essere un problema ancora peggiore del calore, con alcune delle migliori terre arabili trasformate rapidamente in deserto. È noto che le precipitazioni sono difficili da modellare, nonostante ciò le previsioni per questo secolo sono pressoché unanimi: siccità senza precedenti praticamente ovunque sia prodotto cibo oggi. Entro i 2080, senza drastiche riduzioni nelle emissioni, il sud Europa sarà in una situazione permanente di siccità estrema, molto peggio di quanto sia mai stata la conca di polvere americana *. Lo stesso avverrà in Iraq e Siria e gran parte del Medio Oriente, in alcune delle aree più densamente popolate di Australia, Africa e Sud America e nelle regioni paniere della Cina. Nessuno di questi posti, che oggi fornisce la maggior parte del cibo mondiale, sarà in grado di fornirne in maniera affidabile. Come per la conca di polvere originale: la siccità nelle pianure americane e nel sud-est non sarà solo peggiore che negli anni ’30, come ha previsto uno studio della NASA; ma peggiore di qualsiasi siccità in mille anni, comprese quelle che hanno colpito fra il 1100 e il 1300, che “hanno asciugato tutti i fiumi ad est delle montagne della Sierra Nevada” e possono essere stati responsabili della morte della civiltà Anasazi.
Ricordate, già così non viviamo in un mondo senza fame. Al contrario: molte stime indicano che le persone sotto-nutrite a livello globale sono 800 milioni. Nel caso non lo sapeste, questa primavera ha già portato una carestia quadrupla senza precedenti in Africa e Medio Oriente. L’ONU ha avvertito che eventi separati di fame in Somalia, Sudan, Nigeria e Yemen potrebbero uccidere 20 milioni di persone solo quest’anno.
* serie di tempeste di sabbia che colpirono gli Stati Uniti centrali e il Canada tra il 1931 e il 1939 [NdT]
4. Piaghe climatiche
Cosa accade quando il ghiaccio bubonico si scioglie?
La roccia, nel punto giusto, è una testimonianza della storia del pianeta, ere lunghe milioni di anni appiattite dalle forze del tempo geologico in strati con ampiezze di appena pochi centimetri, o solo un centimetro, o addirittura meno. Anche il ghiaccio funziona così, da libro mastro del clima, ma è anche storia congelata,che può in parte riprendere vita quando scongela. Ci sono ora, intrappolati nel gelo artico, malattie che non hanno circolato nell’aria per milioni di anni – in alcuni casi da prima che gli umani fossero in giro per incontrarli. Ciò significa che il nostro sistema immunitario non ha idea di come sconfiggere queste piaghe preistoriche che emergono dal ghiaccio.
L’Artico conserva anche terribili microbi di epoche più recenti. In Alaska, i ricercatori hanno già scoperto tracce dell’influenza del 1918 che ha infettato 500 milioni di persone e ne ha uccise 100 milioni – circa il 5% della popolazione mondiale e circa sei volte quanti ne siano morti nella guerra mondiale per la quale la pandemia funzionò come una raccapricciante chiave di volta. Come ha riferito la BBC in maggio, gli scienziati sospettano che anche il vaiolo e la peste bubbopnica siano intrappolati nel ghiaccio della Sibera, una storia condensata di una malattia umana devastante, lasciata fuori come l’insalata di uova nel sole artico.
Gli esperti avvisano che molti di questi organismi alla fine non sopravviveranno allo scongelamento e indicano le meticolose condizioni di laboratorio sotto le quali ne hanno già rianimati molti – il batterio “extremophile” vecchio di 32.000 anni resuscitato nel 2005, un batterio vecchio di 8 milioni di anni riportato alla vita nel 2007, quello di 3,5 milioni di anni che uno scienziato russo si è iniettato solo per curiosità, per suggerire che tali condizioni sono necessarie per il ritorno di queste antiche pestilenze. Ma già lo scorso anno, un ragazzo è stato ucciso e altri 20 infettati dall’antrace rilasciato quando il permafrost che si ritirava ha esposto la carcassa di una renna uccisa dal batterio almeno 75 anni prima; anche 2000 renne viventi sono state infettate, trasportando e disperdendo il morbo nella tundra.
Quello che preoccupa gli epidemiologi più delle antiche malattie, è il trasferimento, rinnovamento o addirittura re-evoluzione delle piaghe esistenti a causa del riscaldamento. Il primo effetto è geografico. Prima del periodo moderno, quando avventurieri in barca a vela hanno accelerato il mescolamento di persone e delle loro malattie, il provincialismo umano era un guardiano contro la pandemia. Oggi, anche con la globalizzazione e l’enorme rimescolamento di popolazioni umane, i nostri ecosistemi sono abbastanza stabili, e questo funziona come un altro limite, ma il riscaldamento globale sconvolgerà questi ecosistemi e aiuterà le malattie a oltrepassare questi limiti così come sicuramente ha fatto Cortés. Non vi preoccupate molto di dengue o malaria se vivete nel maine o in Francia. Ma man mano che i tropici si spostano a nord e le zanzare con loro, dovreste iniziare a preoccuparvi. Non vi preoccupavate neanche di Zika fino a un paio di anni fa.
Come accade, Zika può essere anche un buon modello per il secondo preoccupante effetto – la mutazione delle malattie. Uno dei motivi per i quali non avevate sentito parlare si Zika fino a poco fa era che il morbo era intrappolato in Uganda; un’altro è che non aveva, fino ad ora, causato difetti di nascita. Gli scienziati non hanno ancora completamente capito cosa sia successo, o cosa hanno tralasciato. Ma ci sono cose che conosciamo per certo su come il clima colpisce le malattie: la Malaria, per esempio, prospera nelle regioni più calde non solo perché lì ci sono le zanzare che la trasportano ma anche perché per ogni grado di aumento di temperatura il parassita si riproduce dieci volte più velocemente. Che è una delle ragioni per la quale la banca Mondiale ha stimato che entro il 2050, 5,2 milioni di persone avranno a che fare con la Malaria.
5. Aria irrespirabile
Uno smog mortale che avanza e soffoca milioni di persone
I nostri polmoni hanno bisogno di ossigeno, ma l’ossigeno è solo una piccola parte di quello che respiriamo. La frazione di anidride carbonica sta aumentando: ha appena superato le 400 ppm (parti per milione), e le stime massime estrapolate dagli andamenti attuali suggeriscono che raggiungerà il tetto delle 1000 ppm entro il 2100. A quelle concentrazioni, le abilità cognitive umane scendono del 21% rispetto all’aria che respiriamo adesso.
Altre cose nell’aria riscaldata sono anche più spaventose, con piccoli aumenti di inquinamento capaci di accorciare le aspettative di vita di 10 anni. Più il pianeta diventa caldo, più ozono si forma e per la metà del secolo è probabile che gli americani soffriranno di un aumento del 70% dell’insalubre smog di ozono, secondo le proiezioni del Centro Nazionale per le Ricerche Atmosferiche. Entro il 2090, ben 2 miliardi di persone a livello globale respirerà aria sopra il livello considerato “sicuro” dall’OMS; un articolo lo scorso mese ha mostrato che, tra gli altri effetti, l’esposizione di una madre incinta all’ozono aumento il rischio di autismo per il bambino (fino a 10 volte in combinazione con altri fattori ambientali). Che ti dovrebbe far ripensare all’epidemia di autismo in Hollywood Ovest.
Più di 10.000 persone muoiono già ogni giorno per le piccole particelle emesse dalla combustione di combustibili fossili; ogni anno 339.000 persone muoiono per il fumo di incendi, in parte perché i cambiamenti climatici hanno esteso la stagione degli incendi boschivi (negli USA, è aumentata di 78 giorni rispetto al 1970). Entro il 2050, secondo il Servizio Foreste statunitense, gli incendi boschivi saranno due volte più distruttivi di oggi; in alcuni posti, l’estensione delle aree percorse dal fuoco potrebbe aumentare di 5 volte. Quello che preoccupa le persone ancora di più è l’effetto che ciò può avere sulle emissioni, soprattutto quando il fuoco distrugge le foreste nate sulla torba. Gli incendi nelle torbiere del 1997 in Indonesia,per esempio, hanno aggiunto al rilascio di CO2 globale fino al 40%, e più incendi significano più riscaldamento che a sua volta significa più incendi. C’è anche la terribile possibilità che le foreste pluviali come l’Amazzonica, che nel 2010 ha subito la sua seconda “siccità del secolo” nel giro di 5 anni, possano asciugarsi tanto da diventare vulnerabili a questo tipo di devastanti incendi boschivi che avanzano – che non solo espellono enormi quantità di carbonio in atmosfera, ma riducono anche le dimensioni della foresta. Questo in particolare è un male, perché l’amazzonica da sola fornisce il 20% del nostro ossigeno.
Poi ci sono le forme più familiari di inquinamento. Nel 2013, lo scioglimento dell’Artico a rimodellato la struttura del clima in Asia, privando la Cina industriale del sistema di ventilazione naturale che ne dipendeva, il che ha soffocato gran parte del nord del paese con una coltre di smog irrespirabile. Letteralmente irrespirabile. Una misurazione chiamato Indice di Qualità dell’Aria categorizza i rischi e aumenta la gamma da 301 a 500, avvisando di “serio aumento di malattie cardiache o polmonari e mortalità prematura in persone con problemi cardiopolmonari e nelle persone anziane” e, per tutti gli altri, “seri rischi di problemi respiratori” a quel livello “tutti dovrebbero evitare attività all’aperto”. L’ “apocalisse dell’aria” cinese del 2013 è salito a quello che corrisponderebbe ad un indice di qualità dell’aria di oltre 800. Quest’anno, lo smog è stato responsabile di un terzo di tutte le morti nel paese.
6. Guerra senza fine
Violenza cucinata al caldo
I climatologi sono molto cauti quando parlano di Siria. Vogliono che si sappia che anche se i cambiamenti climatici hanno prodotto una siccità che ha contribuito alla guerra civile, non è proprio corretto dire che il conflitto è il risultato del riscaldamento. Proprio lì accanto, per esempio, il Libano ha sofferto della stessa perdita dei raccolti. Ma alcuni ricercatori come Marshall Burke e Solomon Hsiang sono riusciti a quantificare alcune delle relazioni non ovvie tra temperatura e violenza: per ogni mezzo grado di riscaldamento, dicono, le società vedranno un aumento tra il 10% e il 20% della probabilità di conflitti armati. Nelle scienze del clima, nulla è semplice, ma l’aritmetica è spaventosa: un pianeta 5 gradi più caldo avrebbe almeno più della metà delle guerre che abbiamo oggi. Complessivamente, i conflitti sociali potrebbero più che raddoppiare per la fine del secolo.
Questo è uno dei motivi per il quale praticamente qualsiasi scienziato con cui parlo mi indica che le forze militari USA sono ossessionate dai cambiamenti climatici. Il rischio che tutte le basi navali americane siano inondate dall’innalzamento del mare sarebbe già abbastanza, ma essendo il poliziotto del mondo è un po’ più difficile se il tasso di criminalità raddoppia. Di sicuro, non è solo in Siria che il clima ha contribuito al conflitto. Alcuni ipotizzano che l’elevato livello di conflitti in Medio oriente nella generazione passata riflette la pressione del riscaldamento globale – un’ipotesi tra le più crudeli considerando che il riscaldamento ha iniziato ad accelerare quando il mondo industrializzato ha estratto e poi bruciato il petrolio dal suolo di quella regione.
Cosa prova la relazione tra clima e conflitto? In parte bisogna andare all’agricoltura e all’economia; molto ha a che fare con le migrazioni forzate, già ad alti livelli, con almeno 65 milioni di persone sfollate che vagano per il pianeta già ora. Ma c’è anche il semplice fatto dell’irritabilità personale. Il caldo aumenta il tasso di criminalità delle città, e le imprecazioni sui social media, e la probabilità che un battitore della major-league, giunto sul monte di lancio dopo che il suo compagno di squadra è stato colpito, colpirà più duro in rappresaglia. E l’arrivo dell’aria condizionata nel mondo sviluppato, nella metà del secolo scorso, non ha risolto un granché il problema delle ondate estive di crimine.
7. Collasso economico permanente
Capitalismo scadente in un mondo più povero.
Il mantra mormorato del neoliberismo globale, venuto alla ribalta tra la fine della Guerra Fredda e il principio della Grande Recessione, è che la crescita economica salverà chiunque da qualsiasi cosa. Ma all’indomani del crollo del 2008, un numero crescente di storici di quello che viene chiamato “capitalismo fossile” hanno iniziato a suggerire che l’intera storia della rapida crescita globale, che in qualche modo è iniziata repentinamente nel XVII secolo, non è il risultato dell’innovazione, del commercio o delle dinamiche del capitalismo globale, ma semplicemente della nostra scoperta dei combustibili fossili e della loro potenza grezza – un iniezione una tantum di nuovo “valore” in un sistema che era prima caratterizzato da un vivere di sussistenza a livello globale. Prima dei combustibili fossili, nessuno viveva meglio dei suoi genitori, nonni o antenati di 500 anni prima, eccetto che subito dopo una grande epidemia, come la Peste Nera, che ha permesso ai fortunati sopravvissuti di trangugiare le risorse lasciate libere dalla massa di decessi. Dopo che avremo bruciato tutti i combustibili fossili, questi studiosi suggeriscono, forse torneremo ad uno “stato stazionario” dell’economia globale. Di certo questa iniezione una tantum ha un costo a lungo termine: i cambiamenti climatici.
Anche la più eccitante ricerca sull’economia del riscaldamento è stata fatta da Hsiang e colleghi, che non sono storici del capitalismo fossile, ma che offrono una propria analisi molto tetra: ogni grado centigrado di riscaldamento costa, in media, 1.2% di prodotto interno lordo (un numero enorme, considerando che valutiamo crescite di una sola cifra come “forti”). Questo è l’eccellente lavoro sul campo e la loro proiezione media è di un 23% di perdita media pro capite raggiunta globalmente alla fine di questo secolo (come risultato dei cambiamenti in agricoltura, crimine, tempeste, energia, mortalità e lavoro).
Tracciare la curva della probabilità fa ancora più paura: c’è una possibilità del 12% che i cambiamenti climatici riducano l’output globale di più del 50% entro il 2100, dicono, una possibilità del 51% che entro tale data il PIL procapite si abbasserà del 20%, se le emissioni non diminuiranno. A confronto, la Grande Recessione ha comportato l’abbassamento del PIL del 6% in un colpo solo: Hsiang e colleghi stimano una probabilità di 1 a 8 di un progressivo e irreversibile effetto otto volte peggiore per la fine del secolo.
La scala di questa devastazione economica è difficile da comprendere, ma possiamo iniziare ad immaginare come apparirebbe il mondo oggi con un economia grande la metà, che produce solo metà del valore e genera solo metà dei beni da offrire ai lavoratori del mondo. Questo fa sembrare la perdita economica per i voli lasciati a terra a causa il caldo che ha colpito Phoenix lo scorso mese una piccola cosa patetica. E, tra le altre cose, rende l’idea che posporre le azioni di governo sulla riduzione delle emissioni ed affidarsi solo sulla crescita e sulla tecnologia per risolvere il problema è un assurdo calcolo d’affari.
Tenete a mente che ogni volo andata e ritorno da New York a Londra costa all’Artico la perdita di altri tre metri quadrati di ghiaccio.
8. Oceani avvelenati
I solfuri eruttati dalla costa scheletro
Che il mare diventerà un killer è un dato di fatto. A meno che non ci sia una radicale riduzione delle emissioni, assisteremo ad un innalzamento del livello del mare di almeno 1,2 metri e forse addirittura di 3 m entro la fine del secolo. Un terzo delle maggiori città del mondo sono sulla costa, senza menzionare gli impianti energetici, i porti, le basi navali, i terreni coltivati, le aree di pesca, i delta dei fiumi, i terreni paludosi e gli imperi delle risaie; anche quelli a più di 3 metri saranno allagati più facilmente e molto più regolarmente se l’acqua raggiungerà tale livello. Attualmente, almeno 600 milioni di persone vivono entro i 10 m di altezza sul livello del mare.
Ma la sommersione di queste terre natie è solo l’inizio. Al momento, più di un terso del carbonio del mondo è catturato dagli oceani – grazie Dio, altrimenti avremo già molto più riscaldamento. Ma il risultato è quello che si chiama “acidificazione degli oceani”, che per conto suo, può aggiungere mezzo grado di riscaldamento in questo secolo. Sta già consumando i bacini d’acqua del pianeta – dovresti ricordare che sono i luoghi in cui la vita sul pianeta si è sviluppata. Probabilmente avrete sentito parlare di “sbiancamento dei coralli” – che significa arte dei coralli che è una pessima notizia perché le barriere coralline sostengono un quarto della vita marina e forniscono cibo a mezzo miliardo di persone. L’acidificazione degli oceani colpirà direttamente anche le popolazioni di pesce, anche se gli scienziati non sono ancora sicuri di come predire gli effetti sulle cose che scegliamo di prendere dagli oceani per mangiare; sanno che nelle acque acide, ostriche e molluschi si sforzeranno di far crescere le proprie conchiglie e che quando il pH del sangue umano scenderà così tanto come il pH degli oceani ha fatto nelle passate generazioni, ciò comporta convulsioni, coma e morte improvvisa.
Questo non è tutto ciò che l’acidificazione degli oceani può fare. L’assorbimento del carbonio può iniziare un meccanismo di feedback in cui le acque sotto-ossigenate nutrono differenti tipi di microbi che rendono le acque ancora più “anossiche”, prima nelle profonde “zone morte” dell’oceano, poi gradualmente risalendo fino in superficie. Qui, i piccoli pesci muoiono, incapaci di respirare, il che significa che i batteri mangia-ossigeno crescono e il meccanismo di feedback si rafforza. Questo processo, in cui le zone morte crescono come cancro, che soffoca la vita marina e spazza via la pesca, è già abbastanza avanzato in parte del Golfo del Messico e appena davanti alla Namibia, dove l’acido solfidrico sta gorgogliando fuori dal mare lungo una striscia di terra lunga mille miglia conosciuta come “Costa Scheletro”. Il nome originariamente si riferiva ai residui dell’industria della caccia alla balena, ma oggi è più adatto che mai. L’acido solfidrico è così tossico che l’evoluzione ci ha insegnato a riconoscerne le più piccole, sicure tracce, che è il motivo per cui il nostro naso è così abile a rilevare le flatulenze. L’acido solfidrico è anche stato il responsabile quella volta in cui il 97% di tutta la vita sulla terra morì, quando tutti i meccanismi di feedback furono innescati e le correnti di getto di un oceano riscaldato arrivano a fermarsi – è il gas preferito dal pianeta per un olocausto naturale. Gradualmente, le zone morte si espansero, uccidendo specie marine che avevano dominato gli oceani per centinaia di milioni di anni, e il gas che le acque inerti immisero nell’atmosfera avvelenò ogni cosa sulla terra. Anche le piante. Ci sono voluti milioni di anni perché gli oceani si riprendessero.
9. Il grande filtro
Il nostro attuale senso di terrore non può durare
Allora perché non riusciamo a vederlo? Nel suo recente saggio lungo come un libro “Il grande squilibrio mentale” [The Great Derangement], il romanziere indiano Amitav Ghosh si chiede perché il riscaldamento globale e i disastri naturali non sono diventati i principali soggetti della fiction contemporanea – perché non sembriamo capaci di immaginare catastrofi climatiche e perché non abbiamo già un’ondata di racconti nel genere che egli già in sostanza immagina in contenuti e nome: “l’inspiegabile ambientale”. “Immaginate ad esempio le storie che si coagulano intorno a domande come ‘Dove eri quando il muro di Berlino è caduto?’ oppure ‘Dove eri l’11 settembre?’ “, scrive. “Sarà mai possibile scrivere, sulla stessa traccia, ‘Dove eri a 400 ppm?’ o ‘Dove eri quando il Larsen B si è staccato?’ “. La sua risposta: probabilmente no, perché i dubbi e i drammi dei cambiamenti climatici sono semplicemente incompatibili con il tipo di storie che raccontiamo a noi stessi su noi stessi, specialmente nei romanzi, che tendono ad enfatizzare il viaggio di una coscienza individuale piuttosto che il velenoso miasma del destino sociale.
Sicuramente questa cecità non è destinata a durare – il mondo che abitiamo non lo permetterà. In un mondo più caldo di 6 gradi, gli ecosistemi terrestri ribolliranno di così tanti disastri naturali che potremmo iniziare a chiamarli solo “condizioni meteo”: un costante sciame di tifoni e tornado fuori controllo e inondazioni e siccità, il pianeta sotto l’assalto regolare di eventi climatici che non così tanto tempo fa distrussero intere civiltà. Gli uragani più violenti arriveranno più spesso, e dovremo inventare nuove categorie per descriverli; i tornado diventeranno più duraturi e più estesi e colpiranno molto più spesso, e i chicchi di grandine quadruplicheranno la propria dimensione. Gli umani sono soliti guardare il tempo per prevedere il futuro; andando avanti vedremo nella sua ira la vendetta del passato. I primi naturalisti parlavano spesso di “tempo profondo” – la percezione che avevano, contemplando la grandezza di una valle o di una bacino roccioso, della profonda lentezza della natura. Quello che giace in serbo per noi è più come ciò che gli antropologi vittoriani identificavano come “tempo di sogno” o “ogniquando”: l’esperienza quasi mitica, descritta dagli aborigeni australiani, di incontrare nel momento presente, un passato fuori dal tempo, quando gli antenati, eroi e semidei affollavano un palcoscenico epico. Lo puoi trovare già guardando il filmato di un iceberg che collassa nel mare – la sensazione della storia che avviene in un unico momento.
È così. Molte persone percepiscono i cambiamenti climatici come una specie di debito morale ed economico, accumulato a partire dall’inizio della rivoluzione industriale e arrivato a riscossione dopo diversi secoli – una prospettiva utile, in un certo senso, dal momento che è il bruciare carbone iniziato nel XVIII secolo in Inghilterra che ha acceso la miccia di tutto quello che è seguito. Ma più della metà del carbonio che l’umanità ha esalato nell’atmosfera nella sua intera storia è stato emesso appena nelle ultime tre decadi; dalla fine della seconda guerra mondiale, il valore è 85%. Che significa che, nell’arco di una singola generazione, il riscaldamento globale ci ha portato sull’orlo di una catastrofe planetaria, e che la storia della missione kamikaze del mondo industriale è anche la storia del tempo di una sola vita. Quella di mio padre, per esempio: nato nel 1938, tra i suoi primi ricordi le notizie di Pearl Harbor e i film della propaganda sulla mitica Air Force che seguirono, film che raddoppiarono come pubblicità per la potenza industriale imperiale americana; e tra i suoi ultimi ricordi la copertura della disperata firma degli accordi di Parigi nelle notizie via cavo, dieci settimane prima che morisse di cancro ai polmoni lo scorso luglio. O quella di mia madre: nata nel 1945, da ebrei tedeschi sfuggiti ai forni crematori in cui sono stati bruciati i loro parenti, che ora si gode il suo 72esimo anno di vita nelle comodità del paradiso americano, un paradiso supportato dalle catene di approvvigionamento di uno sviluppato mondo industrializzato. Ha fumato per 57 dei suoi anni, senza filtro.
O quella degli scienziati. Alcuni degli uomini che per primi identificarono un cambiamento climatico (e data la generazione, quelli che diventarono famosi erano uomini) sono ancora vivi; Un po’ stanno ancora lavorando. Wally Broecker ha 84 anni e guida per andare al lavoro del Lamont-Doherty Earth Observatory attraverso l’Hudson ogni giorno dall’Upper West Side. Come la maggiorate di coloro che per primi diedero l’allarme, egli crede che nessuna quantità di riduzione delle emissioni da sola più significativamente aiutare ad evitare il disastro. Al contrario, egli punta sul sequestro del carbonio – una tecnologia non testata per estrarre anidride carbonica dall’atmosfera, che Broecker, stima, costerà almeno diversi milioni di miliardi di dollari – e varie forme di “geo-ingegneria”, nome onnicomprensivo per una varietà di tecnologie stratosferiche sufficientemente inverosimili che alcuni scienziati del clima preferiscono considerarle come sogni, o incubi, della fantascienza. Egli in particolare è concentrato su quello che viene chiamato “approccio aerosol” – disperdere così tanto diossido di zolfo in atmosfera che quando si trasforma in acido solforico annebbierebbe un quinto dell’orizzonte e rifletterebbe verso lo spazio il 2% dei raggi solari, donando al pianeta almeno un piccolo spazio di manovra per il calore. “Di certo ciò che rende i nostri tramonti così rossi, può sbiancare il cielo, può rendere più acida la pioggia”, dice. “ma dovete considerare la grandezza del problema. Arriverete a comprendere di non poter dire che il problema grande non dovrebbe essere risolto perché la soluzione può creare qualche problema più piccolo”. Non sarà in giro per vederlo, mi ha detto. “Ma nel corso della tua vita…”
Jim Hansen è un altro membro di questa generazione di capostipiti. Nato nel 1941, è diventato un climatologo all’Università dell’Iowa, ha sviluppato il pionieristico “Modello Zero” per la proiezione dei cambiamenti climatici, e più tardi è diventato il capo della ricerca sul clima alla NASA, per poi lasciare a seguito di pressioni quando, mentre era ancora un impiegato federale, ha presentato una denuncia contro il governo federale accusandolo di non fare niente per il riscaldamento (nel frattempo era anche stato arrestato un po’ di volte per proteste). La causa legale, portata vanti da un collettivo chiamato “La fiducia dei nostri figli” e spesso descritta come “ragazzi contro il cambiamento climatico”, si basa sull’appello alla clausola di uguale protezione: in altre parole, non prendendo provvedimenti per il riscaldamento, il governo viola tale clausola imponendo costi massicci alle generazioni future; è prevista un udienza nel tribunale distrettuale dell’Oregon questo inverno. Hansen ha recentemente rinunciato a risolvere il problema del clima solo con una tassa sul carbonio, che era stato il suo approccio preferito, e si è messo a calcolare il costo totale delle misure aggiuntive per estrarre carbonio dall’atmosfera.
Hansen ha iniziato la sua carriera studiando Venere, che una volta era un pianeta molto simile alla Terra, pieno di acqua che poteva supportare la vita, prima che cambiamenti climatici fuori controllo lo trasformassero rapidamente in una arida ed inabitabile sfera avvolta da un’irrespirabile gas; è passato a studiare il nostro pianeta dai 30 anni, domandandosi perché avrebbe dovuto sbirciare nel sistema solare per esplorare rapidi cambiamenti ambientali quando poteva osservare tutto intorno a sé nel pianeta su cui si trovava. “Quando abbiamo scritto i nostro primo articolo sull’argomento, nel 1981, “mi ha detto, “mi ricordo che ho detto ad uno dei miei coautori, ‘Tutto questo è destinato a diventare molto interessante. A un certo punto della nostra carriera, vedremo queste cose iniziare ad accadere’ ”.Molti degli scienziati con cui ho parlato propongono il riscaldamento globale come soluzione al famoso paradosso di Fermi, che chiede, se l’universo è così grande, perché non abbiamo incontrato nessuna forma di vita intelligente? La risposta, suggeriscono, è che la durata naturale di vita di una civiltà può essere solo qualche migliaio di anni, e la durata di vita di una civiltà industriale forse solo qualche centinaio. In un universo che è vecchio molti miliardi di anni, con sistemi solari separati sia nel tempo che nello spazio, le civiltà possono emergere e svilupparsi e bruciarsi semplicemente troppo in fretta perché una possa trovarne un’altra. Peter Ward, un carismatico paleontologo tra quelli responsabili della scoperta che le estinzioni di massa del pianeta erano state causate dai gas serra, chiame questo il “Grande Filtro”. “Le civiltà crescono, ma c’è un filtro ambientale che ne causa la morte e la scomparsa abbastanza rapidamente”, mi ha detto. “Se guardi al pianeta Terra, il filtro che abbiamo avuto in passato è stato in queste estinzioni di massa”. L’estensione di massa che stiamo vivendo ora è appena all’inizio; molta morte deve ancora venire.
Eppure, improbabile, Ward è un ottimista. E l sono anche Broecker e Hansen e molti degli altri scienziati con cui ho parlato. Non abbiamo sviluppato una sorta di religione piena di significato intorno ai cambiamenti climatici che possa confortarci, o darci uno scopo, di fronte ad un possibile annientamento. Ma gli scienziati del clima hanno uno strano tipo di fede: troveremo un modo per bloccare il riscaldamento radicale, dicono, perché dobbiamo.
Non è facile capire quanto si può essere rassicurati da questa squallida certezza, o quanto sperare che sia un altra forma di delusione; per il riscaldamento globale che funziona come una parabola, qualcuno deve sopravvivere per raccontare la storia. Gli scienziati sanno che per raggiungere almeno gli obiettivi di Parigi, entro il 2050 le emissioni di carbonio da energia ed industria, che stanno ancora aumentando, dobbiamo dimezzare le quantità ogni decade; le emissioni derivanti dall’uso del suolo (deforestazione, emissioni dalle mucche, ecc.) dovranno essere azzerate; e dovremmo aver inventato tecnologie capaci di estrarre ogni anno il doppio del carbonio che le piante di tutto il pianeta estraggono ora. Tuttavia, in generale, gli scienziati hanno un enorme fiducia nell’ingenuità degli umani, una fiducia forse rafforzata dal loro apprezzamento per i cambiamenti climatici, che è dopo tutto, pur sempre un’invenzione umana. Indicano il progetto Apollo, il buco nell’ozono che abbiamo rattoppato negli anni ’80, la paura passata per la reciproca distruzione. Ora abbiamo trovato un modo per tecnicizzare il nostro destino, e di sicuro troveremo un modo per tecnicizzare anche la via d’uscita, n un modo o nell’altro. Il pianeta non è abituato ad essere provocato in questo modo, e un sistema climatico programmato con meccanismi di retroazione di secoli o millenni ci impedisce – anche a quelli che guardano più da vicino – di immaginare appieno il danno già fatto al pianeta. Ma quando vedremo realmente il mondo che abbiamo creato, dicono gli scienziati, troveremo anche il modo di renderlo abitabile. Per loro, l’alternativa è semplicemente inimmaginabile.
Arte e potere da sempre un binomio difficile da interpretare, in questo caso avanspettacolo scenografico e improduttivo, ma rispettoso dei riti dei summit internazionali.
«Benvenuti all’Inferno!» lo slogan con cui i manifestanti del G-20 hanno salutato i potenti del mondo, per discutere le calamità del nostro globo. Non importa che l’angoscia di Madre Terra sia stata per lo più causata dai potenti dell’Occidente e ora pretendono di risolvere il problema. Prima del vertice, si sono svolti i colloqui “informali” tra Trump e la Merkel, e a quanto pare, si sono concentrati sulla Corea del Nord, Siria e Ucraina, tutti paesi in cui gli Stati Uniti intendono destabilizzare e spingere per il cambiamento del regime.
Naturalmente tv e media coalizzati esaltano il summit dei Grandi, scene, ambienti, abiti, curiosità, tutto sembra congiurare per alimentare la democrazia dello spettacolo, dove appare solo l’apparente, e viene oscurato l’osceno illecito della povertà, disoccupazione, fame, crimini di guerra. Nessuno sembra mettere in discussione la legittimità dei megalomani auto-nominati, durante le vetrine scenografiche seriali, che rappresentano la forza trainante aggressiva per le guerre, la distruzione, l’uccisione spietata e il caos perpetuo.
Poteri che fondano, nutrono, e armano i gruppi terroristici islamici come ISIS / IS, Al Qaeda, Al Nusra – e altri, che si adattano al modello della loro strategia di guerra del momento. Solo il megalomane occidente avrebbero potuto pensare di autonominarsi in un’alleanza, di cui l’obiettivo finale è quello di forgiare un Nuovo Ordine Mondiale (NWO), attraverso l’oppressione militare e la sottomissione finanziaria di una piccola élite finanziaria e militare a capo Usa. Sarebbe ora di svegliarsi, di riprenderci la nostra sovranità e le nostre vite, di ignorare la propaganda di bugiardi assetati di sangue, uscire dal sistema eurocratico di proprietà privata fraudolenta.
Cosa e chi sono questi G-20? Sono i G7 ingranditi e gonfiati dalle loro stesse ambizioni, cui si aggiungono gli altri 13 mediatori di potere economico, spesso denominati «paesi soglia», tra cui Russia, Cina, Brasile, India, Indonesia, Argentina, Messico, Sudafrica, Australia, Sud Corea, Turchia e l’UE. La Spagna è un osservatore permanente. Naturalmente, gli ambasciatori finanziari e le istituzioni politiche del mondo (occidentale), come l’FMI, la Banca mondiale, la Federal Reserve e l’ONU con i suoi sub-hub regionali, non sono mancati ad Amburgo.
Il G-20 controlla due terzi della popolazione mondiale, il 90% della produzione economica mondiale e l’80% del commercio mondiale. Il loro vero ordine del giorno ad Amburgo è stato segreto, fatta eccezione per le apparenze che potrebbero interessare le popolazioni in generale, come combattere il terrorismo. Ma certamente, oltre alla preziosa «sicurezza contro il terrorismo», gli Usa sono particolarmente interessati delle proprie beghe imperialistiche, e di come sottoporre a controllo vigilato Paesi come l’Iran, il Venezuela, la Bolivia e, naturalmente, il simbolo più orientale del nuovo asse del male, la Corea del Nord.
La NATO, l’economia e il terrorismo vanno di pari passo. Senza terrorismo nessuna guerra. Senza guerre nessuna produzione di armi, e senza complesso industriale di sicurezza militare, l’economia del mondo occidentale potrebbe raggiungere un punto morto. Gli Stati Uniti dipendono per oltre il 50% dalla loro produzione di macchine da guerra e di servizi associati alla sicurezza. Se l’Europa continua a subire il suo status di vassallo statunitense, non potrà progredire né culturalmente, né economicamente.
Lo sapevate che alla fine opposta del globo, il principale vassallo neoconese di Washington, il presidente della Colombia, ha chiesto alla NATO di sostenere la lotta contro la “delinquenza” – cioè la FARC, con la quale hanno firmato un falso, – il mondo crede all’accordo di pace, in gran parte li ha disarmati nell’ambito dell’accordo, e ora FARC è stato ingannato. Il presidente Santos (il Nobel per la Pace – suona come Obama e Kissinger!), E i suoi maestri di Washington vogliono spazzare completamente quel importante movimento contadino, l’unica resistenza alla supremazia statunitense nei confronti della loro terra e contro il continuo sostegno da parte di Washington dei cartelli di droga.
L’atroce macchina da guerra della NATO continuerà a svolgere il proprio sporco lavoro nel processo di imperialismo selvaggio, mentre la maggior parte delle persone chiude gli occhi e le orecchie e rimane in silenzio. Non vedo, non sento, non parlo. Il piano attuale di Washington consiste nel provocare la Russia, attraverso aggressioni al confine orientale dell’Europa, minacciando anche la sovranità della Corea del Nord. L’economia e la finanza però hanno avuto un ruolo centrale nelle discussioni, come accelerare la globalizzazione finanziaria, come privatizzare beni e servizi pubblici, e infine come potenziare l’egemonia finanziaria delle élite per mezzo della produzione privata della moneta.
Quello che resta è la schiavitù del debito, praticato prima con i paesi del terzo mondo, ed ora con l’Eurozona. Per sopravvivere la gente può impegnarsi ad onorare la «spirale di debiti», che si trasforma però gradualmente nella spirale della disoccupazione, default e talvolta morte. Attualmente esiste una “città fantasma” costruita dalla Bundeswehr in collaborazione con la NATO, per centinaia di milioni di euro, in uno dei campi di addestramento militari più moderni della Germania, a Sachsen-Anhalt, non lontano da Amburgo, a partire dal 2018, la città artificiale sarà pronta per addestrare le forze militari NATO e dell’UE per la guerra urbana, per sopprimere eventuali sconvolgimenti e proteste, sulla scia delle misure economiche neofasciste imposte alla Grecia, la terra che ci ha dato filosofi, matematici e scienziati che ancora viviamo e ammiriamo.
Pertanto, ci si addestra per sopprimere meglio il dissenso nelle città europee, è questo l’unico concetto di democrazia che l’Occidente conosce per la eseguire sua truffa e il suo inganno. I leaders dei G-20 stanno al gioco finché sono dura, la maggior parte di loro sono consapevoli che potrebbe essere il loro gioco finale, che il futuro è ormai in Oriente, che l’Occidente è al tramonto, che è solo una questione di tempo prima che completi il proprio suicidio per avidità, aggressività e bufale ben confezionate. Il capitalismo finanziario attuale non tende a spettacolarizzare se stesso se non nella specifica funzione economica del consumo e del commercio. Invece le leve finanziarie restano ben nascoste e solo saltuariamente, come nelle esplosioni delle bolle, ci si accorge del sotterraneo che scorre. Eco perché i media si nutrono di un mix di menzogna e verità, segreti e marketing, immagini distorte che sembrano realtà e realtà che sembrano immagini.
Intanto però il suo potere regna sovrano, col suo carico indigesto di 65 anni di guerre di aggressione incostituzionale contro gli altri popoli.
Autore: David Wallace-Wells / Foto di pixabay / Articolo originale: The Uninhabitable Earth / Traduzione per comedonchisciotte.org a cura di GAIA GALASSI