Stimolati gli astrociti, le cellule del cervello a forma di stella

Gli astrociti, le cellule del cervello a forma di stella, possono essere eccitati con un campo elettrico applicato da un dispositivo organico

Dimostrato per la prima volta che gli astrociti, le cellule cerebrali a forma di stella finora considerate passive, possono essere eccitati con uno campo elettrico applicato da un dispositivo organico.

Questa forma di eccitazione è importante per il funzionamento dell’attività neuronale nella memoria e nell’apprendimento. Possibili ricadute per la cura di patologie come Alzheimer, Parkinson, Ictus ed Epilessia. Il lavoro condotto da Cnr Isof e Cnr-Ismn è pubblicato su Advanced Healthcare Materials.

Quando parliamo di cervello molti di noi pensano ai neuroni, eppure negli ultimi decenni è stato dimostrato che la classica visione neurone-centrica delle funzioni e disfunzioni cerebrali è stata ormai sorpassata. Infatti, ciò che rende diverso il nostro cervello da quello di altri mammiferi, non è il numero o la struttura dei neuroni, bensì quella di altre cellule, dette astrociti.

Gli astrociti, così denominati per la loro tipica morfologia stellata, sono stati a lungo considerati mero ‘collante’ che riempiva gli spazi tra neuroni. Sono definiti cellule non eccitabili perché non possono generare e propagare l’impulso bioelettrico nello stesso modo dei neuroni.

Un lavoro pubblicato sulla rivista Advanced Healthcare Materials (1) e coordinato da Valentina Benfenati dell’Istituto per la sintesi organica e la fotoreattività del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isof), in collaborazione con Michele Muccini e Stefano Toffanin dell’Istituto per lo studio dei materiali nanostrutturati del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ismn), dimostra che anche gli astrociti, e non solo i neuroni, rispondono al campo elettrico applicato dal dispositivo organico, e che è possibile stimolare e modulare l’attività degli astrociti applicando un campo elettrico estremamente piccolo.

Johannes Fiebag, il confine tra irrealtà e realtà

Alcuni scienziati sostengono che le particelle subatomiche sono processi, probabilità. Camminiamo su un filo al confine tra il vuoto ed il nulla

Come è possibile costruire qualcosa di concreto, oggettivo e tangibile su qualcosa che consiste solo di potenzialità; dove, in che punto si oltrepassa il confine tra irrealtà e realtà?

Johannes Fiebag, geologo ed ufologo tedesco, purtroppo scomparso prematuramente, in un celebre saggio dedicato agli altri, amplia l'orizzonte dell'investigazione, ponendosi domande che esulano dai confini dell'Ufologia.

Nel capitolo conclusivo, infatti, si chiede: “In che misura è reale la nostra realtà? Quant'è effettiva la nostra oggettività?”

Sarebbe auspicabile un approccio a questi basilari problemi, scevro di dogmi sia scientifici sia religiosi, come quello con cui Fiebag tenta di sondare l'insondabile. Sfortunatamente la “scienza” dominante è talmente ottusa da rifiutare di porre tra parentesi le sue granitiche certezze sul mondo: un'indagine spassionata ed avventurosa diventa così impossibile.

Fiebag osserva che la realtà è piena di fratture oltre che autocontraddittoria: “Nel mondo dell'infinitamente piccolo e nel mondo dei quanti la nostra percezione della realtà fallisce totalmente. Il fisico Werner Heisenberg scrisse un giorno: 'Negli esperimenti che compiamo sugli stati atomici ci troviamo di fronte a cose, apparizioni che sono altrettanto reali come lo sono i più comuni oggetti che usiamo e troviamo nella vita di tutti i giorni. Gli atomi e le particelle stesse tuttavia non sono altrettanto reali, cioè non lo sono allo stesso modo, perché formano il mondo delle potenzialità e non quello delle cose tangibili... Gli atomi non sono cose.”

Fiebag si chiede: “Come è possibile costruire qualcosa di concreto, oggettivo e tangibile su qualcosa che consiste solo di potenzialità; dove, in che punto si oltrepassa il confine tra irrealtà e realtà?” È un quesito gordiano cui se ne potrebbe aggiungere almeno un altro: perché la possibilità si trasforma in atto? Il reale come ridondanza.

Le dighe nelle foreste tropicali alterano la biodiversità e gli ecosistemi

Le dighe non vanno costruite nella foresta tropicale delle pianure come il bacino amazzonico a causa degli impatti sulla biodiversità acquatica e terrestre

Le dighe non dovrebbero essere costruite nelle regioni di foresta tropicale di pianure a causa della minaccia che rappresentano per la biodiversità e gli ecosistemi, secondo gli esperti dell'Università di Stirling.

La raccomandazione - pubblicata nel Journal of Applied Ecology (1) - viene da un nuovo studio che si concentra sul sistema idroelettrico di Balbina nell'Amazzonia brasiliana. Come molti sistemi idroelettrici nella regione, la diga di Balbina ha causato un'estesa frammentazione delle foreste, con vaste aree di terra allagate una volta chiusa la diga, trasformando in isolette la cime delle colline, oramai sommerse.

L'area delle isole forestali createsi nell'invaso della diga non è stata presa in considerazione nella valutazione dell'impatto ambientale e nel processo di rilascio delle licenze delle dighe. Gli esperti hanno scoperto che le comunità arboree sulle isole di Balbina sono "instabili", con alcune specie rare che si estinguono a causa dell'isolamento e della densità degli alberi. Questo potrebbe portare a future perdite nella biodiversità e nel funzionamento degli ecosistemi, come lo stoccaggio del carbonio, attraverso le 3.500 riserve di Balbina.

La dott.ssa Isabel Jones, ecologa della Facoltà di Scienze Naturali di Stirling che ha condotto la ricerca, ha dichiarato: "Idealmente, raccomandiamo di non costruire dighe nelle regioni di foresta tropicale delle pianure come il bacino amazzonico, a causa degli impatti di vasta portata sulla biodiversità acquatica e terrestre".

Le alluvioni associate alla costruzione di mega-dighe nelle regioni di foresta tropicale pianeggiante possono influire negativamente sulla biodiversità attraverso la perdita di habitat terrestri e acquatici. In tutto il mondo, le dighe hanno spostato tra i 40 e gli 80 milioni di persone portando a impatti sociali significativi.

Inoltre, i bacini artificiali nelle regioni tropicali come il bacino amazzonico possono emettere quantità significative di gas serra, incluso il metano, che può rendere le dighe tropicali molto meno "verdi" rispetto ad altre fonti rinnovabili. Nonostante questo, la costruzione di dighe in Amazzonia è in aumento, con oltre 280 nuove dighe pianificate o già in costruzione, mettendo ia rischio di impatti una regione critica per l'equilibrio climatico globale e per la biodiversità.

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