La comprensione del microbioma per fermare il cancro al colon

L'obiettivo di questa ricerca è quello di scoprire nuovi trattamenti contro il rischio di sviluppare il cancro del colon-retto

I dati sulla diffusione del cancro del colon-retto sono sconcertanti: nel 2018, è stato il terzo tumore più comunemente diagnosticato negli Stati Uniti e i dati indicano che i giovani adulti interagiscono sempre di più con questa patologia.

Con lo scopo di aiutare a sviluppare nuovi trattamenti e misure preventive per fermare la malattia, Cancer Research UK ha assegnato circa 26 milioni di dollari a un team di ricercatori di Harvard T.H. Chan School of Public Health, Dana-Farber Cancer Institute e Harvard Medical School. Il finanziamento, annunciato alla fine dello scorso mese di gennaio, fa parte del progetto Grand Challenge del Cancer Research UK, un'iniziativa di finanziamento internazionale che mira a rispondere ad alcune delle maggiori questioni che riguardano la ricerca sul cancro.

Il team concentrerà i suoi sforzi per comprendere come il microbioma - una raccolta di trilioni di microrganismi che si trovano nel nostro corpo - influisce sullo sviluppo del cancro del colon-retto. Il gruppo di lavoro cercherà anche soluzioni strategiche per manipolare il microbioma al fine di prevenire e curare meglio il cancro del colon-retto.

La dottoressa Wendy Garrett, professoressa di immunologia e malattie infettive presso la Harvard Chan School e uno degli investigatori principali della squadra, (1) ha dichiarato: “Il colon è l'ambiente microbico più densamente popolato del pianeta. Abbiamo riunito un team globale con un interesse permanente per il microbioma e il suo enorme impatto sulla salute umana. Abbiamo già identificato alcuni tipi di batteri che sembrano associati a un rischio maggiore di cancro del colon-retto, ma questa è solo la punta dell'iceberg. In questo progetto speriamo: di capire in che modo il microbioma influenza la risposta del cancro al trattamento; di sviluppare nuovi trattamenti che alterano il microbioma; di esplorare come l'ambiente esterno di una persona possa influenzare il rischio di microbioma e cancro del colon-retto.”

Barbara Negri: i terrestri sono il prodotto di una creazione aliena

L’homo sapiens sarebbe un prodotto genetico ( creazione) ricavato dalla clonazione degli ominidi, su cui sarebbe stato innestato il Dna dei misteriosi Elohim

Non siamo soli, nello spazio? Contro-domanda: e come potremmo esserlo, se fossimo noi stessi il prodotto di una creazione aliena, cioè di un esperimento di “vita forming”?

Lo ha affermato, clamorosamente, una scienziata come Barbara Negri, dirigente dell’Asi, l’agenzia spaziale italiana. Secondo Mauro Biglino, che ha tradotto 19 libri biblici per le Edizioni San Paolo, la Genesi lo racconterebbe chiaramente: l’homo sapiens sarebbe un prodotto genetico ricavato dalla clonazione degli ominidi, su cui sarebbe stato innestato il Dna dei misteriosi Elohim, gli individui come Yahvè (la Bibbia ne cita una ventina, chiamandoli per nome) che “fabbricarono” gli adamiti nel Gan, centro sperimentale per l’agricoltura e l’allevamento impiantato nella regione di Eden, fra la Turchia e il Mar Caspio.

Da dove venivano, gli Elohim come Yahvè? «Ci sono forme di vita intelligenti, là fuori. E dobbiamo essere cauti nel riferirne, se non altro fino a quando non ne sapremo di più». Lo disse nientemeno che Stephen Hawking, cioè il fisico teorico, cosmologo, fisico matematico e astrofisico più importante dell’ultimo secolo. Si moltiplicano segnali inquietanti, come per prepararci a qualcosa che ricorda i fantascientifici “incontri ravvicinati”: non esiteremmo a battezzare gli eventuali “fratelli dello spazio”, dicono i gesuiti, che gestiscono sul Mount Graham in Arizona un potente centro di osservazione astronomica vocato all’indagine sull’esobiologia, cioè la vita extraterrestre.

«Tra le varie tesi per spiegare l’origine e la provenienza degli Ufo, nel caso in cui si accertasse in modo inequivocabile la loro matrice extraterrestre intelligente e tecnologica», scrive “Blasting News”, (1) gli ufologi hanno da sempre sostenuto che la specie umana «sia stata creata da creature provenienti da “altrove”, in grado di manipolare il Dna e capaci di “giocare” facilmente con la genetica, sperimentando nuove specie intelligenti e, quanto meno, simili ai loro “creatori”».

Lo scopo, da parte di questi esseri ipoteticamente extraterrestri, sarebbe quello di «produrre manovalanza su vari corpi celesti, con obiettivi al momento ignoti».

Un silicio bidimensionale analogo al grafene

Un team di ricerca ha ottenuto per la prima volta una configurazione bidimensionale del silicio, che presenta una risposta ottica mai osservata prima

Il silicio può essere depositato su un supporto isolante di zaffiro assumendo una struttura atomica bidimensionale, analoga a quella del grafene, che potrà rivoluzionare il futuro della fotonica attivandosi anche in zone dello spettro ottico considerate off limits.

Un team di ricerca coordinato da Alessandro Molle dell’Istituto per la microelettronica e microsistemi del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Imm) di Agrate Brianza e da Stefano Lupi della Sapienza Università di Roma, insieme a gruppi delle Università di Roma Tor Vergata e Università di Roma Tre e in collaborazione con la STMircoelectronics, ha ottenuto per la prima volta una configurazione bidimensionale del silicio, che presenta una risposta ottica mai osservata prima.

La nuova struttura consente, infatti, l’assorbimento della luce in una zona dello spettro ottico che per il silicio era ritenuta proibita fino a questo momento e promette grandi innovazioni in ambito tecnologico. I risultati sono pubblicati sulla rivista Nano Letters.

“Il silicio è il materiale di base per l’elettronica e il fotovoltaico. Questa nuova configurazione è simile a quella del grafene (da cui il nome silicene), materiale particolarmente versatile in molti settori, come l’energia, l’informatica o la biomedicina”, spiega Molle. “La grande innovazione dello studio è rappresentata dal supporto di zaffiro, un ossido di alluminio cristallizzato, che ha un comportamento isolante. Su questo supporto abbiamo depositato, tramite evaporazione in vuoto ultra spinto, atomi di silicio che, abbiamo constatato, si organizzano in uno o più strati bidimensionali, con una struttura simile al grafene, dove i portatori di carica si comportano come se fossero fotoni”.

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