Ricerche

I batteri intestinali producono elettricità

I ricercatori hanno scoperto che i batteri intestinali riescono a produrre elettricità utilizzando una tecnica diversa rispetto ai più noti batteri elettrogeni

Gli scienziati della UC Berkeley hanno scoperto che un comune batterio, la Listeria monocytogenes, produce elettricità.

I batteri che producono elettricità sono stati individuati nelle miniere e nei fondali dei laghi. Gli scienziati non si sono accorti che esiste una fonte molto più a portata di mano: l'intestino umano.

Gli scienziati della UC Berkeley hanno scoperto che un comune batterio responsabile della diarrea, la Listeria monocytogenes, produce elettricità con una modalità completamente diversa rispetto ai più noti batteri elettrogeni e che centinaia di altre specie batteriche usano il medesimo processo.

Molti di questi batteri, produttori di elettricità, fanno parte del microbioma intestinale umano ma anche molti altri producono elettricità. Essi sono: gli insetti patogeni che causano la listeriosi, una malattia di origine alimentare che può anche causare aborti; I batteri che causano la cancrena (Clostridium perfringens); i batteri che provocano le infezioni contratte in ospedale (Enterococcus faecalis); alcuni batteri che provocano malattie da streptococco; altri batteri elettrogeni, come i lattobacilli. Questi ultimi sono importanti nella fermentazione dello yogurt e di molti probiotici.

Il dottor Dan Portnoy,(1) professore universitario di Berkeley nel settore molecolare nell'ambito della biologia cellulare, vegetale e microbica, sostiene: "L'interazione di una moltitudine di insetti con gli esseri umani, come i patogeni, i probiotici, nel nostro microbiota o coinvolti nella fermentazione di prodotti umani, sono elettrogenici. L'appofondimento del loro studio potrebbe dare alla scienza delle preziose informazioni su come questi batteri ci infettano o ci aiutino ad avere un intestino sano".

La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Nature.(2)

Diagnosticare patologie con la tecnologia bio-elettronica SiMoT

Con la tecnologia bio-elettronica SiMoT gli scienziati hanno misurato concentrazioni bassissime di proteine fino al limite record di una singola molecola

Ricercatori italiani dimostrano la possibilità di rivelare una singola proteina con un dispositivo bio-elettronico grande qualche millimetro, quindi fabbricabile su vasta scala a basso costo. Promette di diagnosticare patologie progressive non solo prima che i sintomi si manifestino ma addirittura appena l’organismo produce i primi bio-marcatori specifici.

Il risultato è pubblicato su Nature Communications ed è recensito da Nature.

È un successo tutto italiano - in collaborazione fra l’Istituto di fotonica e nanotecnologie del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ifn), l’Università degli studi di Bari ‘Aldo Moro’ (Uniba), l’Università di Brescia (Unibs) e il Consorzio per lo sviluppo di sistemi a grande interfase (Instm) - la prima misura record di una singola molecola di proteina, usando un transistor di dimensioni millimetriche. Il lavoro è frutto di un approccio interdisciplinare coordinato da Luisa Torsi docente all’Università di Bari e condotto dal responsabile Cnr-Ifn di Bari, Gaetano Scamarcio, con un team di chimici, fisici ed ingegneri formato da Cinzia Di Franco del Cnr, Giuseppe Mangiatordi, che prenderà servizio al Cnr a dicembre, Eleonora Macchia, Kyriaki Manoli, Brigitte Holzer, Domenico Alberga e Gerardo Palazzo di Uniba, Fabrizio Torricelli e Matteo Ghittorelli di Unibs.

Lo studio promette di poter diagnosticare patologie progressive non solo prima che i sintomi si manifestino, ma addirittura appena l’organismo produce i primi bio-marcatori specifici. Una potenziale rivoluzione per la diagnostica medica che, attualmente, si basa su tecnologie che rivelano al più centinaia di migliaia di marcatori. Nature Communications ha pubblicato il lavoro e Nature ha pubblicato su questa innnovativa tecnologia SiMoT un ‘technology highligth’.

“La prima evidenza sperimentale della misura di concentrazioni bassissime di proteine fino al limite record di una singola molecola è stata possibile usando un transistor di dimensioni millimetriche. è una ricerca alla quale abbiamo lavorato per oltre due anni ed è una grandissima soddisfazione vederla decollare”, sottolinea Gaetano Scamarcio del Cnr-Ifn.

Il suono come mezzo di ricerca

Studiosi della Stanford University stanno lavorando per interpretare e manipolare ogni suono proveniente da più sorgenti del mondo che ci circonda

Il mondo del suono contiene una grande quantità di informazioni su tutto quello che ci circonda. Gli studiosi della Stanford University stanno esplorando questo paesaggio invisibile come strumento di ricerca e come mezzo per capirsi.

Gli accademici solitamente effettuano ricerche basandosi su ciò che vedono: leggono articoli di giornale; esaminano manoscritti; osservano al microscopio. Ma alcune cose possono essere apprese solo attraverso il suono.

Il suono del boom dei vulcani, il suono prodotto dal ronzio delle ali delle zanzare o il tono della voce di una persona trasmettono ad un osservatore visivo tutte quelle informazioni che la vista non può percepire. La sfida in tutti questi è imparare come dare un senso ai suoni che ci circondano, in alcuni casi con la tecnologia e in altri semplicemente ascoltandoci con più attenzione.

Oltre ad aiutarci a interagire con il mondo e l'uno con l'altro, il suono può essere uno strumento quasi fisico. Ad esempio, frequenze oltre la portata dell'udito umano possono sistemare le cellule cardiache in laboratorio. Le onde prodotte dal suono possono anche essere un mezzo per scrutare il corpo e diagnosticare le condizioni di salute.

Studiosi della Stanford University provenienti da tutte le branche della medicina, dell'ingegneria, delle scienze sociali e delle arti stanno lavorando in unanimità per interpretare e manipolare questo mondo udibile e per ripristinare l'udito a coloro la cui capacità è diminuita. Stanno persino aiutando le persone a imparare ad ascoltarsi più attentamente.

Il suono dei cambiamenti climatici

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