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- Posted By: Redazione
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I bambini al di sotto dei sei mesi ricordano qualcosa anche quando non è sotto i loro occhi. A rivelarlo è stato uno studio condotto da Melissa Kibbe, della Johns Hopkins University in collaborazione con Alan Leslie, della Rutgers University. I due studiosi hanno dunque sfatato la convinzione che i neonati ricordano un oggetto, una persona, soltanto quando rientra nel loro campo visivo.
Fino ad ora, infatti, si riteneva che i bambini fino a due anni non fossero in grado di capire che un un qualcosa continuasse ad esistere anche quando non era al momento visibile. Ma grazie al nuovo studio, è emerso che non è così e che il cervello dei piccoli è in grado di ricordare anche ciò che non si vede.
Fin dalla metà degli anni 1980, nuovi tipologie di studi riguardanti i bambini hanno aiutato a capire cosa avviene nel loro cervello, portando a scoprire che gli oggetti non scomparivano mentre essi non li stavano guardando, grazie a quella che viene definita permanenza dell'oggetto. Tuttavia, quello che ancora era da accertare era di cosa i bambini hanno bisogno per ricordare l'esistenza di un oggetto, di una persona.
I due studiosi hanno mostrato ad alcuni bambini di sei mesi due oggetti su uno schermo, un disco e un triangolo.
Entrambi mutavano o scomparivano. Così, esaminando le reazioni dei bambini, i due esperti hanno scoperto che essi non conservavano la memoria dell'oggetto, ma rimanevano sorpresi.
In particolare, i piccoli non erano particolarmente sorpresi nel vedere che la forma nascosta dietro lo schermo era cambiata. Ma se l'oggetto spariva del tutto, i bambini sembravano sorpresi molto più a lungo. "Questo dimostra che anche se i bambini non si ricordano la forma dell'oggetto, sanno che continua ad esistere" ha spiegato Melissa Kibbe. "Ricordano l'oggetto senza ricordare le caratteristiche che lo identificano".
“Questo aiuta a spiegare come il cervello giovane elabora le informazioni sugli oggetti” ha continuanto Leslie. La sua ipotesi sul funzionamento del cervello in simili occasioni si basa sul fatto che quest'ultimo ha un meccanismo che agisce come una sorta di puntatore, un dito mentale che punta a un oggetto.
La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Psychological Science / Autrice: Francesca Mancuso / Fonte: nextme.it