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Riflessioni sul concetto del dualismo
Il mondo materiale pare scisso nel dualismo in cui coesistono armonia e crudeltà, magnificenza e lordume.
Giacomo Leopardi, nel celebre passo dello Zibaldone in cui descrive il “giardino delle sofferenze”, osserva, con sguardo che potremmo definire gnostico, la natura in cui, di là dalle parvenze amene, si consuma una lotta per la sopravvivenza senza esclusione di colpi.
La riflessione sull'intima natura della natura ha impegnato profeti, filosofi, scienziati, artisti: alcuni vedono nel creato il sigillo divino, altri ritengono che in un mondo voluto da Dio si sia poi infiltrato un sabotatore per deturparlo [1], altri concepiscono la materia come antitesi pura dello Spirito, una “morta gora”.
Nel Leopardi maturo l'immagine della natura si sdoppia: da un lato essa ostenta un'immagine gradevole, dall'altro affiora la sua essenza di forza cieca, di volontà tesa solo a perpetuare sé stessa, senza curarsi del destino delle creature, dei loro inani patimenti. Ecco allora la potente e solenne immagine della Natura: nella sua glaciale imperturbabilità, risponde alle domande sgomente dell'Islandese sul non-senso dell'esistenza.
È quella del poeta recanatese una concezione anti-cosmica non molto distante dalle dottrine dualiste (dagli gnostici ai Catari) che vedono nella creazione ilica una caduta, benché Leopardi non creda in un principio spirituale contrapposto all'universo mosso da forze meramente meccanicistiche.
Il dualismo, con le sue forme più o meno radicali (dal dualismo platonico e neoplatonico con cui il cosmo che è letteralmente “ordine” è salvato, benché sia considerato inferiore all'Idea del Bene o all'Uno, al dualismo temperato del Cristianesimo paolino etc.) ha conosciuto un'inaspettata reviviscenza per mezzo di alcuni orientamenti all'interno dell'Ufologia, anche in forme estreme. Mi riferisco qui, in particolar modo, a Corrado Malanga che si è convinto che esistono due generi di uomini: gli uomini con anima e quelli, invece, che ne sono privi, i cosiddetti umani.