Ricerche

Una popolazione di Koala senza clamidia

Una popolazione di Koala senza clamidia

L'ultima grande popolazione di koala sani senza clamidia in Australia potrebbe essere stata identificata sull'isola di Kangaroo.

Questa è l'ipotesi avanzata dai ricercatori finanziati dalla Morris Animal Foundation all'Università di Adelaide.

La clamidia rappresenta una seria minaccia per la specie. Essa contribuisce a una drastica riduzione della popolazione e il team spera che i koala dell'isola del canguro (Kangaroo Island - KI) possano rappresentare una garanzia contro ulteriori perdite e persino l'estinzione. Il team ha pubblicato questa scoperta nella rivista scientifica Nature Reports. (1)

La dottoressa Natasha Speight, studiosa dei koala e docente presso la Scuola di Scienze animali e veterinarie dell'Università di Adelaide, suggerisce: “questo è un risultato molto importante se si calcola le elevate proporzioni di diffusione della malattia da clamidia. Gli sforzi per combatterla finora non hanno avuto successo.”

La Chlamydia pecorum è un'infezione batterica dei koala che viene trasmessa principalmente a livello sessuale, ma può anche essere diffusa a stretto contatto, anche dalle madri ai piccoli di koala. Si sviluppa come congiuntivite che può portare alla cecità e infezioni del tratto urinario. L'infezione può propagarsi ai reni e al tratto riproduttivo, causando infertilità. La clamidia è una malattia che porta alla morte.

La dottoressa Jessica Fabijan, (2) autrice principale e ricercatrice presso l'Università di Adelaide, dice: “l'impatto della clamidia sulle popolazioni di koala in parti dell'Australia è devastante, con alti livelli di grave diffusione, decessi e infertilità. Quest'ultima popolazione libera dalla clamidia rappresenta una garanzia per il futuro della specie. Potremmo aver bisogno dei nostri koala della Kangaroo Island (KI), situata al largo dell'Australia Meridionale, a sud-ovest di Adelaide, per ripopolare altre popolazioni in declino.”

La Terra ricicla il fondo dell'oceano in diamanti

La Terra ricicla il fondo dell'oceano in diamanti

I diamanti sul tuo dito sono molto probabilmente fatti di fondali marini riciclati e cucinati in profondità sotto la crosta terrestre.

Secondo una nuova ricerca, pubblicata su Science Advances, (1) condotta dai geoscienziati della Macquarie University a Sydney, in Australia, tracce di sale intrappolate in molti diamanti mostrano che le pietre sono formate da antichi fondali marini che sono stati sepolti in profondità sotto la crosta terrestre.

La maggior parte dei diamanti trovati sulla superficie terrestre sono formati in questo modo, altri sono creati dalla cristallizzazione di fondenti nel profondo del mantello terrestre.

Negli esperimenti che ricreano le pressioni estreme e le temperature trovate a 200 chilometri di profondità, il dottor Michael Förster, il professor Stephen Foley, il dottor Olivier Alard e i colleghi della Goethe Universität e Johannes Gutenberg Universität in Germania, hanno dimostrato che l'acqua marina nei sedimenti, dal fondo dell'oceano, reagisce nel modo giusto per produrre l'equilibrio di alcuni sali trovati nel diamante.

Lo studio pone una domanda di lunga data sulla formazione dei diamanti. A tal proposito il dottor Michael Förster asserisce: “c'era una teoria secondo cui i sali intrappolati all'interno dei diamanti provenivano dall'acqua di mare marina, ma non potevano essere testati. Le nostre ricerche hanno dimostrato che provenivano da sedimenti marini.”

I diamanti sono cristalli di carbonio che si formano sotto la crosta terrestre in parti molto antiche del mantello. Sono portati in superficie con le eruzioni vulcaniche tramite l'espulsione di un particolare tipo di magma chiamato kimberlite.

Gli esperimenti rivelano la fisica dell'evaporazione

Gli esperimenti rivelano la fisica dell'evaporazione

Durante il processo della fisica dell'evaporazione i cambiamenti di pressione, più della temperatura, influenzano fortemente la velocità con cui i liquidi si trasformano in gas.

È un processo così fondamentale per la vita di tutti i giorni - in ogni cosa, dalla tua caffettiera mattutina alla grande centrale elettrica - che spesso è dato per scontato: il modo in cui un liquido si allontana da una superficie calda.

Eppure sorprendentemente, questo processo di base è stato solo ora, per la prima volta, analizzato in dettaglio a livello molecolare, in una nuova analisi del dottor Zhengmao Lu, (1) del del Massachusetts Institute of Technology, professore di ingegneria meccanica e capo del dipartimento della scienziata Evelyn Wang, (2) e altri tre al Massachusetts Institute of Technology e all'Università di Tokyo. Lo studio appare sulla rivista Nature Communications.

La dottoressa Evelyn Wang spiega: “Si scopre che per il processo di cambiamento di fase liquido-vapore, una comprensione fondamentale è ancora relativamente limitata. Sebbene siano state sviluppate molte teorie, in realtà non ci sono prove sperimentali dei limiti fondamentali della fisica dell'evaporazione. È un processo importante da capire perché è così onnipresente. L'evaporazione è prevalente in diversi tipi di sistemi come la generazione di vapore per centrali elettriche, le tecnologie di desalinizzazione dell'acqua, la distillazione a membrana e la gestione termica, come ad esempio i tubi di calore. Ottimizzare l'efficienza di tali processi richiede una chiara comprensione delle dinamiche in gioco, ma in molti casi gli ingegneri fanno affidamento su approssimazioni o osservazioni empiriche per guidare le loro scelte di materiali e condizioni operative.”

Utilizzando una nuova tecnica per controllare e rilevare le temperature sulla superficie di un liquido, i ricercatori sono stati in grado di identificare un insieme di caratteristiche universali correlate ai cambiamenti di tempo, pressione e temperatura che determinano i dettagli del processo di evaporazione. Nel processo, hanno scoperto che il fattore chiave, che determinava la velocità di evaporazione del liquido, non era la differenza di temperatura tra la superficie e il liquido ma piuttosto la differenza di pressione tra la superficie del liquido e il vapore ambientale.

Pagine