Degrado ambientale

Un aereo di linea inquina come 600 auto non catalizzate

Ogni giorno partono circa 200mila voli in tutto il mondo, per un totale di passeggeri di oltre 30 milioni. Cresce quindi anche l’inquinamento aereo

Inquinamento aereo è maggiore rispetto a quello dei mezzi di superficie. Insieme al trasporto navale, può vantare la più alta quantità di emissioni.

Quanto inquina un aereo? Molto. Moltissimo in relazione ai mezzi più inquinanti con cui abbiamo a che fare quotidianamente: quindi più delle auto Diesel e più di quelle a benzina più datate, e anche più dei camion.

I viaggi low-cost hanno aumentato considerevolmente il traffico aereo e l’inquinamento atmosferico che ne risulta è vicino soltanto a quello prodotto dalle grandi navi, di cui ci rendiamo conto soltanto in prossimità delle aree portuali dove fanno scalo.

Il traffico aereo sta crescendo: secondo i dati IATA - International Air Transport Association - ogni giorno partono circa 200mila voli in tutto il mondo, per un totale di passeggeri di oltre 30 milioni. Cresce quindi anche l’inquinamento nei cieli, visto che gli aerei sono alimentati da cherosene avio, molto simile al gasolio, ma i motori non possono disporre degli stessi filtri che sulle auto ne riducono le emissioni. Inoltre, aumenta anche l’inquinamento a terra, poiché gli aerei inquinano soprattutto in fase di decollo rilasciando a basse quote ossido di carbonio.

Quanto inquina un aereo?

Abbiamo visto che circa venti navi cargo da 400 metri di lunghezza ciascuna possono inquinare quanto tutto il parco auto circolante sul pianeta, quindi vediamo quanto inquinano gli aerei con lo stesso paragone.

I cambiamenti climatici minacciano produzione del mais

Stress idrico e termico potrebbero essere causa di una riduzione, da qui al 2050, della produzione, su scala europea, di mais

Siccità e ondate di calore nel periodo estivo saranno, da qui al 2050, responsabili della diminuzione di produzione a scala europea del mais.

Per il frumento, che presenta un ciclo colturale più precoce, si prevedono invece aumenti di resa. A individuare nuovi modelli di pratiche colturali e di miglioramento genetico delle varietà erbacee per contrastare gli effetti del riscaldamento globale, un team di ricercatori internazionali di cui fanno parte Istituto di biometeorologia Cnr e Università di Firenze. I risultati della ricerca sono stati pubblicati su Nature Communications

L’agricoltura è fra i settori produttivi maggiormente esposti alla variabilità climatica. Stress idrico e termico potrebbero essere causa di una riduzione, da qui al 2050, della produzione, su scala europea, di mais. Per contrastare questi effetti, anche in considerazione dei nuovi dati del Rapporto Speciale “Global warming of 1.5°C” - IPCC (The Intergovernmental Panel on Climate Change sul superamento del limite di 1,5 gradi del riscaldamento globale nel 2040), un team internazionale di cui fanno parte ricercatori dell’Istituto di biometeorologia del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ibimet) e del Dipartimento di scienze delle produzioni agroalimentari e dell’ambiente (Dispaa) dell’Università di Firenze, ha individuato nuovi modelli di pratiche colturali e di miglioramento genetico delle varietà di mais e frumento. I risultati della ricerca, realizzata all’interno del progetto europeo MACSUR (Modeling European Agriculture with Climate Change for food Security), sono stati pubblicati su Nature Communications.

“Sono stati analizzati”, spiega Marco Moriondo, ricercatore Cnr-Ibimet, “i possibili effetti del cambiamento climatico sulle rese di frumento e mais a livello europeo, utilizzando dieci modelli colturali diversi e valutando, regione per regione, i principali determinanti dei rischi per le produzioni agricole fino al 2050”. Uno studio di questo tipo rappresenta una solida base su cui costruire risposte adattative coerenti con i previsti cambiamenti climatici per mantenere buoni livelli produttivi in agricoltura.

Crisi sistemica ecologica in Italia

La crisi ambientale dovuta all’impoverimento e alla degradazione dei territori si manifesta da numerose situazioni di conflittualità diffuse globalmente

Leggere le diverse crisi che si stanno manifestando nei nostri tempi come porzioni di una crisi sistemica che sta investendo il capitalismo è indispensabile

Questo vale a maggior ragione per la crisi ecologica, la cui manifestazione palese sono le numerose situazioni di conflittualità ambientale diffuse su tutto il globo; combattere per l’ambiente e per i territori, oggi, rappresenta la più anticapitalista delle battaglie: essi sono la sintomatica manifestazione degli effetti che il modello di crescita economica produce in termini ambientali e sociali. Basti guardare alle matrici della crisi ecologica e a quanto esse siano direttamente correlate agli assunti di base del capitalismo: la tendenza alla crescita vorace, la corsa all’accumulazione e allo sfruttamento di ogni tipo di risorsa senza guardare a quello di cui si avrà bisogno domani, per sopravvivere.

Possiamo definire “ambientale” un conflitto che vede la società civile, esclusa dai processi decisionali, opporsi a politiche basate sul sovrasfruttamento delle risorse e del territorio, attraverso pratiche di democrazia partecipativa, in difesa del loro territorio e dell’ambiente. Si tratta di manifestazioni essenziali e interessanti da studiare: innanzitutto sono diffusi a livello planetario, indice questo del fatto che appunto, quando parliamo di crisi ecologica, parliamo di una crisi di sistema. Un’attenzione a questa tipologia di conflitti, inoltre, è utile a rilevare i molteplici fattori di origine economica, politica, sociale, climatica, che hanno interagito tra loro ed assunto un ruolo centrale nell'insorgenza di nuove tipologie di conflitto territoriale. Essi consentono di comprendere tutte le categorie della crisi in un unico fenomeno: emblematico in questo caso è il caso del conflitto legato alle acciaierie ILVA di Taranto, dove la crisi ambientale ha origine da matrici diversificate ma correlate, di carattere sociale, occupazionale, sanitario ed economico.

Parliamo di conflitti ambientali in presenza di due particolari elementi: una riduzione quantitativa-qualitativa delle risorse ambientali disponibili e la presenza e l’organizzazione di resistenza da parte delle popolazioni locali dei territori interessati.

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