Un calendario per l'origine e l'evoluzione di tutta la vita sulla Terra

Paleontologi hanno utilizzato una combinazione di dati genomici e fossili per spiegare la storia della vita sulla Terra, dalla sua origine ai giorni nostri

Un nuovo studio condotto da scienziati dell'Università di Bristol ha utilizzato una combinazione di dati genomici e fossili per spiegare la storia della vita sulla Terra, dalla sua origine ai giorni nostri.

I paleontologi hanno a lungo cercato di comprendere le origini della vita e la sua storia evolutiva condivisa nel suo complesso.

Tuttavia, la documentazione fossile inerente al periodo iniziale è estremamente frammentata e la sua qualità si deteriora in modo significativo più indietro nel tempo verso il periodo arcaico, risalente a più di 2,5 miliardi di anni fa, quando la crosta terrestre si era raffreddata abbastanza da consentire la formazione di continenti e delle prime forme di vita microbiche.

Holly Betts,(1) autrice principale dello studio, della Scuola di Scienze della Terra dell'Università di Bristol,(2) ha dichiarato: “Ci sono pochi fossili dell'Archaean e generalmente non possono essere assegnati in modo inequivocabile ai lignaggi con cui siamo abituati, come le alghe blu-verdi o gli Archeobatteri amanti del sale che colorano le paludi salate di tutto il mondo. Il problema con i primi reperti fossili della vita è rappresentato dalla difficoltà di interpretazione dei dati e anche dalla scarsità di elementi su cui lavorare. Malgrado ciò, un'attenta rianalisi di alcuni dei più antichi reperti ha dimostrato che erano cristalli e non fossili.”

Le prove fornite dai reperti fossili, per determinare l'inizio dell'evoluzione della vita, sono così frammentate e difficili da valutare che le nuove scoperte e le reinterpretazioni dei fossili conosciuti hanno portato a una proliferazione di idee contrastanti sui tempi dell'inizio della vita.

Curare una ferita senza lasciare cicatrici grazie alla pelle di un rospo

Gli scienziati hanno scoperto che certe proteine ottenute nella pelle di un rospo rigenerano il derma umano in una ferita senza lasciare cicatrici

Secondo gli scienziati le proteine che compongono i pori della pelle di questo particolare rospo hanno la funzione di riparare il tessuto e possono essere utilizzate nell'uomo.

L'agenzia di stampa ufficiale Xinhua ha reso noto che gli scienziati dell'Istituto di zoologia di Kunming, una struttura dell'Accademia cinese delle scienze (CAS),(1) hanno scoperto che certe proteine ottenute nella pelle di una sottospecie di rospo, del sud-ovest della Cina, possono rigenerare il derma umano in una ferita senza lasciare cicatrici.

"Le riparazioni delle ferite devono essere prive di cicatrici, riducendo così il pericolo che le funzioni fisiologiche vengano danneggiate, qualcosa che può causare conseguenze fatali", ha detto ai media locali Yun Zhang,(2) leader del gruppo di ricerca.

La sostanza non serve solo a guarire le ferite ma aiuta anche a ridurre l'edema traumatico, proteggendo la ferita dalle infezioni batteriche resistenti agli antibiotici.

Il riscaldamento globale muterà le misure corporee delle specie

Le specie animal e gli insetti in un prossimo futuro andranno incontro a variazioni delle loro misure corporee a causa del riscaldamento globale

Uno studio internazionale, al quale hanno partecipato l’Istituto per lo studio degli ecosistemi del Cnr e l’Università di Torino, dimostra che le dimensioni corporee degli animali invertebrati in futuro varieranno a causa del cambiamento climatico e dell’urbanizzazione. La scoperta, pubblicata su Nature, fornisce indicazioni per una pianificazione accurata delle aree verdi urbane che possa mitigare l’effetto del riscaldamento globale sulle comunità animali

Insetti, ragni e crostacei in un prossimo futuro andranno incontro a variazioni delle loro misure corporee a causa del riscaldamento globale, a seconda che si trovino in città, in aree naturali o in zone frammentate e questo avrà conseguenze per le specie che di essi si nutrono. A sostenerlo, uno studio internazionale pubblicato sulla rivista Nature a cui hanno preso parte l’Istituto per lo studio degli ecosistemi del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ise) e il Dipartimento di scienze della vita e biologia dei sistemi (Dbios) dell’Università di Torino.

La ricerca, svolta in Belgio e finanziata dal governo belga, ha preso in considerazione dieci gruppi di invertebrati in habitat terrestri e acquatici con temperature diverse a seconda del livello di urbanizzazione, più calde in città, a temperature intermedie in habitat agricoli, e meno calde in habitat naturali.

“I risultati mostrano che in generale le comunità animali sono costituite da specie progressivamente sempre più piccole all’aumentare della temperatura”, spiega Elena Piano dell’Università di Torino. “Una temperatura ambientale più elevata, come quella che si trova in città, aumenta i tassi metabolici e le specie più piccole si riscaldano prima di quelle più grandi, raggiungendo le temperature corporee adatte alle loro attività: questo è vero soprattutto per gli animali invertebrati, la cui dimensione corporea è quindi legata all’intero ecosistema”.

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