Tecnologia

Mini ghepardo è il primo robot quadrupede che fa le capriole

Il nuovo mini robot ghepardo è elastico e leggero. Può esibirsi, con estrema scioltezza, in una gamma molto ampia di movimenti

Per gli sviluppatori il design leggero e ad alta potenza di questo robot rappresenta la piattaforma perfetta per condividere e giocare.

Il nuovo mini robot ghepardo del Massachusetts Institute of Technology è elastico e leggero. Può esibirsi, con estrema scioltezza, in una gamma molto ampia di movimenti: può piegarsi e allargare le gambe, permettendogli di camminare sia a destra che a testa in giù. Il robot può anche camminare su terreni sconnessi a circa il doppio della velocità di camminata di una persona media.

Con un peso di soli 9 chilogrammi il quadrupede possiede una elevata agilità: quando viene calciato a terra, il robot può velocemente raddrizzarsi. Ha la capacità di eseguire una capriola a 360 gradi da una posizione eretta. I ricercatori affermano che il mini robot ghepardo è stato progettato per essere praticamente indistruttibile: Se una capriola all'indietro finisse con un esito negativo i danni alla sue parti meccaniche sarebbero praticamente irrilevanti.

Nel caso in cui un arto o un motore si rompono, il mini ghepardo è progettato con una tecnologia modulare: ciascuna delle gambe del robot è azionata da tre motori elettrici identici, a basso costo, che i ricercatori hanno progettato utilizzando parti pronte per l'uso. Ogni motore può essere facilmente sostituito con uno nuovo. "Potresti mettere insieme queste parti, quasi come i Lego", afferma lo sviluppatore capo Benjamin Katz, (1) un tecnico associato nel Dipartimento di Ingegneria Meccanica del MIT.

I ricercatori presenteranno il design del mini ghepardo alla Conferenza internazionale sulla robotica e l'automazione che si terrà a maggio. Attualmente i meccanici stanno costruendo più macchine a quattro zampe, puntando a un set di 10, con l'intento anche di poterli prestare ad altri laboratori.

Nano-laser costituito da una rete di nanofibre polimeriche

Il Nano-laser non-convenzionale è una sorta di minuscola e impalpabile ragnatela, un intreccio di nanofibre polimeriche che emettono e amplificano la luce

Ricercatori dell'Istituto nanoscienze del Cnr, Imperial College e Università di Pisa realizzano un nuovo tipo di Nano-laser basato su un reticolo di filamenti plastici che emettono e amplificano la luce.

Pubblicato su Nature Communications, lo studio apre la strada a una nuova classe di dispositivi che potranno essere usati come sorgenti di luce miniaturizzate e sensori ottici ad alta efficienza

Un team di ricercatori dell'Istituto nanoscienze del Consiglio nazionale delle ricerche (CnrNano) ha sviluppato un nuovo tipo di laser costituito da una rete di filamenti miniaturizzati di polimeri. Il risultato della collaborazione tra Imperial College di Londra, CnrNano, Università di Pisa, Università del Salento e Università di Exeter è pubblicato su Nature Communications, (1) e apre la strada ad una nuova classe di dispositivi laser che potranno essere usati come sorgenti di luce miniaturizzate e come sensori ottici ad alta efficienza.

Il cuore del laser non-convenzionale è una sorta di minuscola e impalpabile ragnatela, un intreccio di nanofibre polimeriche che emettono e amplificano la luce. “Contrariamente ai laser convenzionali che usano specchi o strutture periodiche per intrappolare ed amplificare la luce, in questo dispositivo essa è prodotta e amplificata dalla rete di filamenti”, spiega Andrea Camposeo di CnrNano. “Le nanofibre emettono luce e poi funzionano come fibre ottiche lungo le quali questa si propaga: intrappolata nel reticolo lungo i percorsi di una matrice disordinata la luce è soggetta a interferenze in centinaia di nodi ed emerge amplificata come luce laser”.

I ricercatori hanno realizzato una rete di nanofili composti da materiale fotoattivo, con un diametro di tra i 200 e i 500 nanometri (un nanometro è pari a un milionesimo di millimetro) e con un elevato numero di nodi e di rami. Ogni struttura è una rete disordinata planare, ramificata così da connettere ciascun nodo al loro vicino più prossimo.

Modelli di estrapolazione verticale della velocità del vento

La ricerca ha analizzato 332 applicazioni inerenti alla velocità del vento condotte negli ultimi 40 anni, su 96 località nel mondo

Uno studio dell'Istituto di biometeorologia (Ibimet) del Cnr di Firenze, riflette sui modelli di estrapolazione verticale della velocità del vento ai fini della predicibilità eolica.

La ricerca, pubblicata su Renewable and Sustainable energy reviews, ha analizzato 332 applicazioni condotte negli ultimi 40 anni, su 96 località nel mondo

“Poter prevedere, sulla base di semplici misure a terra, il profilo verticale della velocità del vento fino a quote difficilmente raggiungibili con strumentazione dai costi contenuti è un evidente vantaggio, soprattutto nella fase di prefattibilità di un progetto d'impianto eolico”, spiega Giovanni Gualtieri dell'Istituto di biometeorologia del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ibimet) di Firenze e autore dello studio.

Questo compito è affidato ai modelli di estrapolazione della velocità del vento, la cui utilità pratica diventa oggigiorno sempre più stringente se si considera il costante aumento delle dimensioni dei moderni aerogeneratori, caratterizzati da un'altezza dei mozzi regolarmente al di sopra di 60-80 m, ma che arriva a superare (soprattutto nei modelli offshore) anche i 150 m.

La ricerca, pubblicata su Renewable and Sustainable energy reviews, (1) passa in rassegna 332 applicazioni condotte in un arco temporale di 40 anni (1978–2018) su 96 località nel mondo poste ad altitudini comprese tra 0 e 2230 m s.l.m.. Tre famiglie di modelli sono state prese in esame: i modelli basati sul profilo logaritmico; (ii) modelli basati sulla legge di potenza; (iii) modello di Deaves ed Harris. Il lavoro documenta l'accuratezza dei modelli applicati su ogni specifica località e ne discute nell'insieme l'andamento prendendo in esame quattro diversi tipi di sito: (i) pianeggiante e prevalentemente privo di ostacoli; (ii) collinare/ondulato con vegetazione/alberi; (iii) montuoso con orografia complessa; (iv) in mare aperto. Le prestazioni dei modelli sono state analizzate nella capacità di prevedere accuratamente il valore della velocità del vento in quota, ma anche nel riuscire a raggiungere quote particolarmente elevate, come richiesto dai moderni modelli di turbina eolica. "Oltre alla mera accuratezza numerica grande risalto è stato dato alla convenienza economica di un modello piuttosto che di un altro, e quindi alla strumentazione più o meno a basso costo richiesta per ogni applicazione", evidenzia il ricercatore Cnr-Ibimet.

Tra i principali risultati raggiunti, lo studio evidenzia che i modelli basati sul profilo logaritimico (utilizzati in passato all'incirca nel 25.6% dei casi) risultano inadatti allo scopo, in quanto non in grado di raggiungere l'altezza tipica delle moderne turbine; essi presentano inoltre lo svantaggio di richiedere un'accurata stima della lunghezza di rugosità del sito (z0), cosa di norma alquanto complessa.

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