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Banca mondiale: i flussi migratori sono una minaccia per l'economia globale

Christine LagardeLo afferma la Banca Mondiale ribadendo l'allarme lanciato negli ultimi giorni da Fmi e G20, che ritengono il flusso dei migranti uno dei rischi sulla ripresa

La crisi dei rifugiati rischia di essere una minaccia per l'economia globale, con il timore che la crisi si ampli ad altri Paesi africani. Lo afferma la Banca Mondiale ribadendo l'allarme lanciato negli ultimi giorni da Fmi e G20, che ritengono il flusso dei migranti uno dei rischi sulla ripresa.

“C'è bisogno dei migranti. Dobbiamo aumentare la diversità e l'inclusione nelle nostre società. Non solo perché è la cosa giusta da fare, ma per ragioni economiche”, afferma la Banca Mondiale. La crisi dei rifugiati è un “disastro umanitario”, ha detto presentando il World Economic Outlook Maurice Obstfeld, il capo economista del Fmi, sottolineando che si tratta anche di un test per l'Unione Europea.

Secondo uno studio del Fmi sui migranti pubblicato in gennaio, in Europa sono necessarie azioni per sostenere la loro integrazione nella forza lavoro, così da allentare i timori per l'esclusione sociale ma anche per i potenziali benefici economici di lungo termine.

OCSE: incremento esponenziale delle spese per i rifugiati

RifugiatiSecondo uno studio dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) le spese per i rifugiati sono salite in maniera esponenziale.

I paesi avanzati hanno dovuto sborsare nel 2015 per i cosiddetti rifugiato (in realtà la maggior parte non sono rifugiati bensì migranti economici) ben 12 miliardi di dollari.

Se si calcola che nel 2014 i cosiddetti rifugiati erano costati 6,6 miliardi di dollari, la cifra nel 2015 è praticamente quasi raddoppiata.

Lo scorso anno 1,5 milioni di rifugiati hanno chiesto asilo, praticamente un record.

Un milione di richieste di asilo sono state fatte in Germania e Scandinavia.

L'OCSE rivela, nel suo studio, che l'aumento delle spese non ha compromesso gli aiuti umanitari, incrementati del 6,9% a 131,6 miliardi se sommati a quanto speso per i richiedenti asilo, e dell'1,7% non conteggiando tale spesa.

Crash bond a Porto Rico. Sequestrati i depositi dei correntisti

Crash bond a Porto Rico L’hanno ribattezzato la “Grecia americana”: è l’isola di Porto Rico, entrata sotto la giurisdizione degli Stati Uniti, 117 anni fa e che ora si trova nei guai. Lo dimostra chiaramente la performance dei suoi bond, che crollano scontando il rischio di una catena di default. Il crollo è stato il più forte dallo scorso 28 luglio del 2015.

A scatenare il panico tra i detentori di bond, è stata la decisione del governatore Alejandro Garcia Padilla di firmare nella giornata di mercoledì un provvedimento, che conferisce alla sua persona l’autorità di dichiarare lo stato di emergenza a Porto Rico e anche il diritto di congelare i pagamenti sul debito dell’isola, che ammonta a $72 miliardi.

L’apposizione della firma è arrivata dopo due giorni e due notti di dibattiti infuocati tra l’opposizione, che ha definito pericolosa la moratoria sul debito effettuata in modo unilaterale, e i membri del partito di governo, che hanno invece insistito che niente potrebbe essere ormai peggio.

Così il governatore si è espresso:

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