Biologia

Luna: trovate "tracce" di vita terrena

LunaLa superficie della luna si è rivelata essere coperta da una gigantesca quantità di ossigeno, elaborata da piante e microbi, successivamente “staccatasi” dall'atmosfera della terra per il vento solare.

Lo dicono gli astronomi in un articolo pubblicato sulla rivista Nature Astronomy. Negli ultimi anni gli scienziati hanno cominciato a discutere l'ipotesi della panspermia, cioè l'idea che la vita possa essere stata inserita dalla Terra su altri pianeti del cosmo. Questa ipotesi, formulata dal famoso chimico svedese Svante Arrhenius, tuttavia, fino a poco tempo fa, non era seriamente presa in considerazione.

La situazione è cambiata dopo gli esperimenti a bordo dei razzi russi di serie Bion-M, in pratica la possibilità comprovata di sopravvivenza dei germi in caso di caduta di un meteorite sulla Terra. Inoltre, gli scienziati americani hanno dimostrato che resti fossili di vita terrena potrebbero essersi “rotti” sulla superficie della Terra con gli asteroidi arrivati dallo spazio, come potevano cadere in passato sulla Luna, Marte e altri pianeti. Kentaro Terada dell'università di Osaka, Giappone e i suoi colleghi, hanno trovato le prime possibili tracce di vita sulla luna, studiando i dati raccolti dalla sonda giapponese Kaguya, durante il suo lavoro in orbita intorno alla Terra.

Come dicono gli scienziati, ad aprile 2008, Kaguya era in un insolito punto dell'orbita, si trovava in realtà lungo una linea retta trasversale tra sole, terra, la stessa sonda e la luna, che si trova dietro di essa.

Identificata l'origine del noce

NoceUno studio dell’Ibaf-Cnr e Ibam-Cnr identifica origine e modalità di diffusione del noce comune, evidenziando l’influenza dell’uomo. Il lavoro, pubblicato su Plos One, ha incrociato i dati genetici della pianta con l’analisi glottologica della parola ‘noce’ e con i dati archeologici, topografici e storici relativi alla distribuzione geografica della specie

Un recente studio condotto dagli istituti del Consiglio nazionale delle ricerche di Biologia agro-ambientale e forestale (Ibaf-Cnr) e per i Beni archeologici e monumentali (Ibam-Cnr), ha permesso di identificare l’origine e le modalità di diffusione del noce comune (Juglans regia L.), specie oggi apprezzata per le proprietà nutraceutiche dei frutti ricchi di acidi grassi polinsaturi. Pubblicato su Plos One, il lavoro evidenzia l’origine asiatica della pianta e l’esistenza nel Caucaso e nelle valli delle montagne dell’Asia Centrale di almeno quattro zone dove le popolazioni di noce conservano un valore elevato di diversità genetica, probabilmente sopravvissute in nicchie ecologiche protette dopo le glaciazioni del Pleistocene (Kyrgyzstan occidentale, Asia occidentale e centro-meridionale, Uzbekistan centro-orientale, province di Xinjiang and Shandong in China).

Lo studio ha anche identificato l’importanza sia delle grandi barriere fisiche che ostacolarono il flusso genico naturale (montagne e deserti), sia delle vie commerciali e culturali che le superarono.

La genesi delle 'Tegnùe', i coralli di Venezia

TegnùeLa genesi di queste scogliere sommerse, patrimonio di biodiversità e di geodiversità, risale a circa 7.000 anni fa, quando è avvenuta la cementazione dei canali fluviali risalenti all’ultimo periodo glaciale. Il lavoro, coordinato da Ismar-Cnr e frutto di una sinergia con Ogs, Università di Padova, Ispra e Conicet (Argentina), è pubblicato su Scientific Reports

I fondali italiani del Mar Adriatico settentrionale non sono costituiti solo da distese di sabbia e detriti, come comunemente si immagina. Nella parte nord-occidentale, al largo di Chioggia, sorgono conformazioni rocciose sommerse alla profondità di oltre 20 metri che ospitano ecosistemi acquatici unici. Chiamate in dialetto veneto 'tegnùe', perché trattengono le reti dei pescatori, sono composte da organismi incrostanti che conferiscono a queste bio-costruzioni un aspetto simile alle barriere coralline che si elevano dal fondale limoso-sabbioso.

Uno studio coordinato dall’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche (Ismar-Cnr) ha indagato l’origine di questi sorprendenti habitat marini. La ricerca, che ha coinvolto anche Università di Padova, Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale (Ogs), Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) e Consejo Nacional de Investigaciones Científicas y Técnicas (Conicet) in Argentina, è stata pubblicata sulla rivista Scientific Reports.

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