Biologia

Animali più piccoli nel prossimo secolo

Animali più piccoli nel prossimo secolo

I ricercatori dell'Università di Southampton prevedono, nei prossimi 100 anni, un ridimensionamento delle dimensioni degli uccelli e dei mammiferi.

In futuro predomineranno gli animali piccoli, a vita veloce, altamente fertili, mangiatori di insetti e che prospereranno in un'ampia varietà di habitat. Questi nuovi “competitori” includono roditori, come il gerbillo nano e gli uccelli canori, come il passero-tessitore dai sopraccigli. Le specie meno adattabili e a vita bassa, che richiedono particolari condizioni ambientali, saranno probabilmente vittime dell'estinzione. Questi animali includono l'allocco e il rinoceronte nero.

I ricercatori prevedono che la massa corporea media dei mammiferi diminuirà collettivamente del 25 per cento nel prossimo secolo. Questo declino rappresenta un cambiamento ampio e accelerato rispetto alla riduzione del 14 per cento delle dimensioni corporee osservata nelle specie da 130.000 anni fa (l'ultimo periodo interglaciale) fino ad oggi.

I risultati della ricerca sono pubblicati in dettaglio nella rivista Nature Communications. (1)

Il dottor Rob Cooke (2) è l'autore principale di questo lavoro e ricercatore post-laurea presso l'Università di Southampton. Egli commenta: “Di gran lunga la più grande minaccia per uccelli e mammiferi siamo noi umani - con gli habitat che vengono distrutti a causa del nostro impatto sul pianeta, come: la deforestazione, la caccia, l'agricoltura intensiva, l'urbanizzazione e gli effetti del riscaldamento globale. Prevediamo che il sostanziale ridimensionamento delle specie potrebbe comportare ulteriori impatti negativi per la sostenibilità a lungo termine dell'ecologia e dell'evoluzione.

Bassi livelli di ossigeno alterano la vista degli invertebrati marini

Bassi livelli di ossigeno alterano la vista degli invertebrati marini

Gli scienziati di Scripps Institution of Oceanography, presso l'Università della California di San Diego, hanno scoperto che bassi livelli di ossigeno nell'acqua di mare potrebbero accecare alcuni invertebrati marini.

Questi risultati, pubblicati di recente sul Journal of Experimental Biology, (1) sono la prima dimostrazione che l'apparto visivo negli invertebrati marini è altamente sensibile alla quantità di ossigeno disponibile nell'acqua.

A causa delle attività umane i livelli di ossigeno nell'oceano si stanno alterando globalmente compromettendo i normali processi naturali. Molti invertebrati marini dipendono dalla propria vista per trovare cibo, riparo ed evitare i predatori, in particolare nelle loro fasi iniziali della vita quando molti sono planctonici. Ciò interessa particolarmente i crostacei e i cefalopodi che sono appetibili prede comuni per altri animali e le cui larve migrano nell'habitat marino.

La ricerca sugli animali terrestri ha dimostrato che bassi livelli di ossigeno possono influenzare la vista. Infatti, gli umani possono perdere la funzione visiva in condizioni di ossigeno ridotto. I piloti che volano ad alta quota, ad esempio, hanno dimostrato di avere problemi di vista se i velivoli non riescono a integrare gli abitacoli con ossigeno aggiuntivo. Inoltre, l'ipertensione e gli ictus, entrambi associati alla perdita di ossigeno, possono danneggiare la vista.

“Con tutte queste conoscenze sull'ossigeno, che influenza la vista negli animali terrestri, mi sono chiesta se gli esseri viventi marini avrebbero reagito in modo simile”, ha asserito la dottoressa Lillian McCormick, (2) autrice principale dello studio finanziato dalla National Science Foundation e studente di dottorato presso lo Scripps Oceanography.

Le proprietà meccaniche dei tessuti umani


Il risultato è stato ottenuto grazie a una tecnica microscopica innovativa e non invasiva, che apre una strada nella diagnostica clinica

Grazie alla sinergia di diversi Istituti del Cnr con ricercatori di Lens e Università di Perugia è stato possibile correlare l'elasticità del collagene alla sua morfologia ultrastrutturale più che alle sue caratteristiche biochimiche.

Grazie alla sinergia di tecnologie e personale del Consiglio nazionale delle ricerche - Istituto nazionale di ottica (Cnr-Ino), Istituto di fisica applicata Nello Carrara (Cnr-Ifac) e Istituto di chimica dei composti organometallici (Cnr-Iccom) di Sesto Fiorentino, Istituto officina dei materiali (Cnr-Iom) di Perugia - con colleghi del Lens e dell'Università di Perugia, per la prima volta è stato possibile correlare l'architettura del collagene alla sua elasticità, mettendo in risalto che le proprietà meccaniche dei tessuti sono determinate dalla morfologia ultrastrutturale del collagene, piuttosto che dalle sue caratteristiche biochimiche.

Il risultato, pubblicato su Nature - Communications Biology, è stato ottenuto grazie alla messa a punto di una tecnica microscopica capace di sondare morfologia, meccanica e biochimica dei tessuti umani in maniera innovativa e, attraverso la diagnostica clinica, apre la strada all'utilizzo della metodica in moltissimi ambiti biologici e biomedici, dalla differenziazione cellulare alla medicina rigenerativa.

“2Lo studio è di fondamentale importanza in molteplici campi. Il collagene infatti è la proteina strutturale più abbondante negli organismi viventi: forma la struttura di ossa, muscoli, tendini, legamenti e cartilagini, oltre a formare il tessuto connettivo su cui crescono e si sviluppano le diverse cellule che formano un organismo”, conferma Silvia Caponi, ricercatrice di Cnr-Iom. "Sappiamo che in ogni struttura biologica le proprietà morfologiche influenzano fortemente le caratteristiche meccaniche e che la corretta funzionalità dei tessuti è garantita dal bilanciamento di composizione chimica, caratteristiche morfologiche e meccaniche. Ora abbiamo un nuovo strumento di indagine in grado di individuare precocemente segnali di alterazioni nei tessuti in maniera non invasiva".

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