Riflessioni

Mente e cervello non sono la stessa cosa

Mente e cervello non sono la stessa cosa. Il cervello è il recipiente materiale per supportare e manifestare la Mente, che non è fisica, nel piano fisico

Il Piano Mentale è molto più sottile rispetto al piano astrale e di conseguenza meno sottoposto a leggi limitatrici.

Sebbene anche questo livello sia suddiviso in sette sottopiani, esiste una grande differenza tra i quattro piani inferiori (che rappresentano il mentale inferiore o concreto) e i tre superiori (denominati mentale superiore o astratto).

Mentre il piano astrale incorpora una “quarta dimensione”, che sembra annullare il problema della distanza spaziale – dato che in quel livello si può viaggiare alla velocità del pensiero – nel piano mentale troviamo una “quinta dimensione”, che sembra annullare il tempo. In questo piano, i pensieri e i processi mentali che si manifestano nello stato fisico in un ordine sequenziale, qui si riproducono invece tutti nello stesso tempo.

La regione del piano mentale astratto è la vera residenza della nostra anima, del nostro “Sé Superiore”, ed è chiamata dai cristiani la “dimora del Cielo”. Qui si trova ciò che si denomina esotericamente “Corpo Causale”, che è il luogo dove rimangono custoditi tutti i tesori dell’uomo, tutte le esperienze raccolte, vita dopo vita, poiché nel ciclo evolutivo di ciascuna persona, nulla si perde mai. È anche il piano che corrisponde alla nostra mente, al pensiero, alle idee, alla memoria, alla visualizzazione, all’immaginazione, all’associazione e al linguaggio.

I quattro livelli inferiori, sono invece maggiormente relazionati con la vita ordinaria ed i sensi fisici, e corrispondono a quella parte della mente che misura, pesa, studia, analizza, ecc. Bisogna inoltre chiarire che la mente ed il cervello non sono affatto la stessa cosa. Il cervello, è solo il recipiente materiale o il supporto fisico necessario, per supportare e manifestare la “Mente” (che non è fisica) nel piano fisico.

Un nuovo film dedicato a Michael Jackson

Michael Jackson è morto di rifiuto della condizione umana e terrena, rifiuto della realtà, del mondo, orrore della vita e dei suoi limiti, ricusazione del fato

A dieci anni dalla morte di Michael Jackson, un film in uscita mette a soqquadro la memoria della pop star e getta lunghe ombre di pedofilia sulla sua controversa figura.

Due ex-adolescenti lo accusano di abusi sessuali e il mondo nuovamente si divide tra i suoi perduranti fan e i suoi detrattori, i suoi famigliari e i suoi accusatori, mentre fioccano denunce e querele.

Non entrerò nel merito della questione, ma mi soffermerò sul mito di questo cantante. Quando morì, nel 2009, Michael Jackson era già morto da tempo immemorabile e passava la sua vita di cadavere ad amministrare la sua sontuosa decomposizione, il suo mito e le sue apparizioni. Mandava videoclip dall’aldilà, a volte canzoni, spargeva aneddoti e immagini sconcertanti, in una danza scatenata, musicale e farmaceutica, sanitaria e giudiziaria, intorno alla sua bara. Studiava da morto da parecchi anni, annunciava tumori e paralisi, simulava morti e resurrezioni, e dissimulava le malattie troppo banali come la vitiligine, esibiva mutazioni raccapriccianti e malattie genetiche esclusive, come si addice agli dei; ma la sua divinità non sprigionava l’aura dell’immortalità, era una morte prolungata per ripararsi dalla vita, le sue offese e le sue invadenze.

Non era mai capitato ma ci fu un mercato nero per procurarsi a caro prezzo un invito ai suoi funerali; e mai espressione come mercato nero fu più azzeccata per indicare un traffico di soldi illeciti intorno al funerale di un nero pentito. Funerali rinviati per gestire la gigantesca dimensione del cordoglio, a più di dieci giorni dalla morte. Fu un’icona e un prototipo di chi si rivolge alla tecnica e ai farmaci per manipolare la vita e risolvere i problemi che un tempo affidava alla religione, alla filosofia e al mito.

Non esprimo giudizi morali di condanna per la sua vita né giudizi musicali di celebrazione davanti al suo corpo irriconoscibile, al suo naso ridotto ad una presa elettrica, alle sue labbra simili alla fessura di un bancomat, a un viso sfigurato che perde quel che Levinas riteneva essere l’inalterabile specificità di una persona: il volto. Non aveva volto Jackson. Quel che gli era rimasto addosso era una specie di mascherina estetico-funeraria, un incrocio tra il visage dall’estetista e la cera mortuaria da obitorio. Non voglio soffermarmi sulle accuse di pedofilia che lo hanno accompagnato anche in vita e tantomeno abbracciare gli alibi dei suoi fan che ebbe un’infanzia difficile e da ricco finanziò opere benefiche in favore dell’infanzia.

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