Salute

L’attaccamento sociale e dell’amore nell'ambito neurologico

Neurologia del sentimentoSono numerosi gli studi inerenti la relazione d’amore da un punto di vista neurobiologico, alcuni si sono soffermati esclusivamente sugli aspetti legati alla risposta neuroendocrina della relazione, altri sugli aspetti più strettamente legati alla risposta dell’encefalo.

Un esempio di studio focalizzato sulla risposta neuroendocrina è quello di Sue Carter (1998). Obiettivo del suo studio era quello di indagare la risposta comportamentale e neuroendocrina dell’attaccamento sociale e dell’amore.

Classicamente, il comportamento di relazione con i genitori e il comportamento sessuale sono associati al concetto di amore. Secondo questa autrice, che si è occupata di fare una revisione e rilettura dei principali studi su questo argomento, c’è una relazione significativa tra l’attività dell’asse ipotalamo-cortico-surrene (HPA; hypothalamic-pituarity, adrenal) e la successiva espressione dei comportamenti sociali e di comportamenti relazionali e di attaccamento.

In particolare è stato riscontrato che c’è una riduzione dell’attività dell’asse HPA nel caso in cui si stiano verificando relazioni di tipo positivo, mentre c’è un aumento dell’attività dell’asse HPA nel caso in cui la relazione sia negativa.

Le cure che i medici non accetterebbero mai per se stessi

Medico criticoEcco il parere di alcuni medici esperti e ricercatori quali cure loro eviterebbero, e molto spesso si tratta di andare contro il modo di vedere più consolidato.

Uno Psichiatra che non assumerebbe mai antidepressivi

La Dott.ssa Joanna Moncrieff è senior lecturer in psichiatria presso il London University College ed autrice di «The Myth Of The Chemical Cure » [Il mito delle cure chimiche]. «Esercito nel campo della psichiatria da oltre 20 anni, e per la mia esperienza gli antidepressivi non fanno nulla di buono.

Non li assumerei in nessuna circostanza, nemmeno se fossi a rischio di suicidio. Tutti gli studi mostrano che – nel migliore dei casi – gli antidepressivi ti fanno sentire un po’ meglio di quanto non farebbe un placebo, il che non significa che curino la depressione. Dopo anni di scannerizzazione del cervello, non abbiamo una sola prova che la depressione sia collegata ad un qualche squilibrio chimico cerebrale, dunque è discutibile l’idea in sé di trattarla con sostanze chimiche.

Ritengo la depressione una reazione estrema alle circostanze, ed il modo migliore per uscirne è di eliminare le cause, il che a volte vuol dire psicoterapia, a volte modificare la situazione trovando un nuovo lavoro o risolvere i problemi relazionali. Naturalmente esistono alcune persone che sono depresse senza un apparente motivo, ma ugualmente non abbiamo ancora alcuna prova né che soffrano di un disturbo cerebrale né che gli antidepressivi siano loro di aiuto. La cosa migliore rimane cercare e trovare delle novità che spezzino i circoli viziosi nel pensiero e nel comportamento. Gli antidepressivi sono delle sostanze psicoattive, che alterano la mente come fanno l’alcool o la cannabis ed io ho sempre pensato che se fossi stata depressa avrei voluto conservare tutta la mia lucidità e le mie facoltà per venir fuori dal pantano e non il ritrovarmi immersa in una nebbia farmacologica della quale non avrei nemmeno capito gli effetti».

Esiste una relazione tra stress e dermatite?

Dermatite da stressInnanzitutto il merito di aver apportato un significativo contributo scientifico alle ricerche sullo stress è di un neuroendocrinologo austriaco, tale Hans Selye, che nel 1936 nel corso di una serie di esperimenti sottopose i topi da laboratorio a quotidiane iniezioni e verificò che a prescindere dalla sostanza iniettata, soluzione fisiologica o altro, i ratti manifestavano gli stessi sintomi.

Comprese, pertanto, che esisteva una stretta relazione tra lo stimolo esterno pericoloso o minaccioso, rappresentato da quelle “quotidiane iniezioni”, e la reazione biologica interna dell’organismo.

Lo stress, altro non è che “la risposta aspecifica strategica dell’organismo innanzi a situazioni di possibile pericolo, o comunque di fronte ad avvenimenti imprevisti”.

Secondo la sua teoria lo stress si sviluppa attraverso tre fasi:

  1. fase iniziale di allarme, in cui si attivano una serie di processi psicofisiologici;
  2. fase di resistenza, in cui l’organismo tenta di adattarsi;
  3. fase finale di esaurimento, in cui l’organismo privato di tutte le sue scorte energetiche non ha la capacità di continuare a difendersi e adattarsi. Selye definì l’intera sequenza come Sindrome generale di adattamento (SGA).

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