Trial clinici

L'immaginazione può alterare i nostri atteggiamenti

L'immaginazione può alterare i nostri atteggiamenti

Gli scienziati Roland Benoit e Philipp Paulus dimostrano che i nostri atteggiamenti possono essere influenzati non solo da ciò che viviamo realmente, ma anche da ciò che immaginiamo.

A volte nella vita ci sono luoghi speciali che sembrano distinguerci: un cortile della scuola, forse una vecchia chiesa, quell'angolo di strada poco appariscente dove sei stato baciato per la prima volta. Prima del bacio non avevi nemmeno notato quell'angolo. È come se l'esperienza speciale con quella persona amata trasferisse emozioni positive nel luogo.

Il nostro atteggiamento nei confronti di questi luoghi cambia così improvvisamente - diventano per noi preziosi.

Ma questo potrebbe anche accadere semplicemente per il potere dell'immaginazione piuttosto che per le esperienze reali?

Gli studiosi Roland G. Benoit (1) e Philipp C. Paulus (2) del Max Planck Institute for Human Cognitive and Brain Sciences, insieme al dottor Daniel L. Schacter (3) della Harvard University, hanno esaminato questa domanda in uno studio pubblicato sulla rivista 'Nature Communications'. (4)

Essi dimostrano che i nostri atteggiamenti possono essere influenzati non solo da ciò che viviamo realmente, ma anche da ciò che immaginiamo. Inoltre, credono che il fenomeno sia basato sull'attività in una particolare posizione nella parte anteriore del nostro cervello, la corteccia prefrontale ventromediale.

Ai partecipanti al loro studio è stato chiesto innanzitutto di nominare le persone che amano molto e anche le persone a cui non piacciono affatto. Inoltre, è stato chiesto loro di fornire un elenco di luoghi che consideravano neutrali. Più tardi, quando i partecipanti erano sdraiati nello scanner della risonanza magnetica, gli è stato chiesto di immaginare, con la massima concentrazione, come avrebbero trascorso del tempo con una persona amata in uno dei luoghi neutrali.

Una dieta ricca di proteine animali danneggia la salute

Un elevato apporto di proteine animali, in particolare il consumo di carni lavorate come salsicce e salumi, è associato ad un elevato rischio di decesso.

Secondo un nuovo studio dell'Università della Finlandia orientale, che fornisce un ulteriore sostegno a precedenti ricerche scientifiche, una dieta ricca di proteine animali, in particolare carne, non fa bene alla salute.

Gli uomini che prediligevano nella loro dieta le proteine animali avevano, nell'arco di un periodo di 20 anni, un rischio maggiore di morte rispetto agli uomini che consumavano una dieta più equilibrata. I risultati sono stati pubblicati sull'American Journal of Clinical Nutrition. (1)

Un'assunzione elevata di carne era associata a effetti avversi: gli uomini che consumavano una dieta ricca di carne, vale a dire più di 200 grammi al giorno, avevano un rischio di morte maggiore del 23% rispetto agli uomini il cui consumo di carne era meno di 100 grammi al giorno.

Coloro che hanno partecipato allo studio mangiavano principalmente carne rossa. La maggior parte delle raccomandazioni nutrizionali limitano l'assunzione di carni rosse e lavorate. In Finlandia, ad esempio, l'assunzione massima raccomandata è di 500 grammi alla settimana.

La ricerca ha anche rilevato che un elevato apporto complessivo di proteine alimentari era associato a un maggior rischio di morte negli uomini a cui era stato diagnosticato, all'inizio dello studio, il diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari o cancro. I risultati evidenziano la necessità di indagare gli effetti sulla salute dell'assunzione di proteine, specialmente nelle persone che hanno una condizione medica cronica preesistente. L'età media dei partecipanti coinvolti nello studio era di 53 anni. Tutti soffrivano di patologie e le loro diete non erano chiaramente carenti di proteine.

La depressione invecchia il cervello

Una tecnica di scansione del cervello dimostra che la densità sinaptica, ovvero la quantità di connessioni, inizia a calare 10 anni prima nei depressi

Un gruppo di ricercatori della Yale University ha utilizzato una nuova tecnica di scansione cerebrale per dimostrare che la densità sinaptica, ovvero la quantità di connessioni nel cervello, inizia a calare 10 anni prima nelle persone depresse, a 40 anni d'età anziché a 50.

Questo potrebbe significare una precoce perdita di memoria, annebbiamento cerebrale, rallentamenti nel linguaggio e persino l'insorgenza di malattie legate all'età come l'Alzheimer.

La principale autrice dello studio, Irina Esterlis, (1) che ha presentato i risultati in un meeting dell'American Association for the Advancement of Science, (2) afferma che i risultati dello studio potrebbero avvicinarci a spiegare perché le donne, che hanno il doppio delle probabilità di soffrire di depressione, hanno il triplo del rischio di ammalarsi di Alzheimer rispetto agli uomini.

La scienziata aggiunge che lo studio potrebbe anche aiutarci a sviluppare nuovi farmaci mirati all'ippocampo, la regione del cervello interessata sia dalla depressione che dall'Alzheimer.

Lo studio è di piccole dimensioni, con sole 10 persone, ma i ricercatori affermano ora di avere le basi per organizzare uno studio su larga scala con molte più persone. “Prima non siamo stati mai in grado di misurare le sinapsi nelle persone viventi perché non avevamo uno strumento”, spiega Irina Esterlis. Il potenziale di questo nuovo e promettente metodo di imaging è significativo. I ricercatori pensano che con il tempo si puo' pensare di sottoporre le persone con depressione a screening per rilevare i segni dell'invecchiamento cerebrale che potrebbero trasformarsi in problemi più gravi.

“C'è molto che possiamo fare, abbiamo solo bisogno di più tempo”, avverte Esterlis. Il motivo per cui è stato così difficile vedere se la depressione invecchia il cervello negli umani è perché le scansioni cerebrali non possono vedere così tanto. Le scansioni MRI possono mappare le regioni del cervello, ma non possono osservare in diretta il flusso dei complessi e rapidi cambiamenti che avvengono costantemente.

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