Strategie

Ritirate tonnellate di riserve in oro dagli USA

L’economia globale cerca di ridurre la dipendenza dal dollaro USA e di conseguenza preferisce ritirate tonnellate di riserve in oro dagli USA

Per decenni molti Paesi hanno immagazzinato le loro riserve in oro negli Stati Uniti. Ma la situazione cambia.

L’anno scorso diversi Paesi, tra cui Turchia, Germania e Paesi Bassi, ritiravano l’oro immagazzinato negli Stati Uniti e altri Stati considerano la stessa idea.

Natalia Dembinskaja rivelava che un decennio fa circa 60 Paesi avevano le loro riserve auree negli Stati Uniti, principalmente per garantirne la sicurezza in caso di guerra e aumentare la liquidità, perché i più grandi affari sull’oro si svolgono sulla Borsa Mercantile di New York (NYMEX).

Risparmiare oro negli Stati Uniti permise di ridurre i costi di trasporto, molto alti nel caso dei metalli preziosi a causa delle costose assicurazioni, e gli Stati Uniti decisero di pagare tali costi solo in situazione economica o politica eccezionale.

Il fatto che nel 2018 Turchia, Germania e Paesi Bassi abbiano ritirato l’oro immagazzinato negli Stati Uniti e che l’Italia consideri questa misura significa che la situazione potrebbe cambiare. Inoltre, negli ultimi tempi si sono sollevati dubbi sul fatto che gli Stati Uniti mantengano correttamente l’oro degli altri Paesi.

Secondo il dipartimento del Tesoro statunitense, gli Stati Uniti continuano a detenere 261 milioni di once d’oro. Tuttavia, l’ultima volta che l’audit di queste riserve fu fatto erano gli anni ’60. Dopo di ciò, tutti i tentativi di condurre una nuova ispezione furono bloccati dal Congresso, ha affermato Dembinskaja.

La Brexit è controllata dal Commonwealth

La Brexit, che è stata organizzata dal Commonwealth, serve all'Inghilterra per riposizionarsi geopoliticamente e per liberarsi dall'Unione Europea

Con la Brexit c’è una parte d’Inghilterra che si vuole riposizionare geopoliticamente, privilegiando i rapporti commerciali con l’area del Pacifico, l’India, l’Australia ed il Canada e, al contempo, liberarsi dei lacci e lacciuoli della Unione Europea.

È un processo non facile e lungo, come stiamo vedendo. L’economia è un fatto commerciale e monetario, ma nel caso inglese quello monetario è secondario avendo Londra sempre conservato la sterlina come moneta nazionale.

Detto diversamente, l’Inghilterra ha voluto (e sta cercando di) uscire dall’Unione Europea perché Bruxelles lega i paesi membri attraverso un sistema doganale che avvantaggia alcuni paesi a scapito di tutti gli altri, sfasandone le bilance commerciali.

In Italia, ad esempio, molti media da anni difendono il mercato comune, sottolineando i tanti vantaggi che la fine delle barriere doganali avrebbe portato al Paese.

Questa visione è miope ed in malafede, perché proprio quando negli anni Novanta l’Unione si stava burocratizzando al suo interno, il resto del mondo procedeva a instaurare nuovi rapporti commerciali, rendendo obsoleto il modello tedesco che è un modello che porta vantaggi solo alla Germania, all’Austria ed ai paesi del Benelux, penalizzando il resto d’Europa.

L’Inghilterra se n’è accorta per prima ed ha pensato bene di andarsene, anche e soprattutto perché ha fondato nei secoli scorsi il Commonwealth.

L’impero del dollaro è al capolinea

L’impero del dollaro è al capolineaL’impero del dollaro volge al termine. Il dollaro sta per compiere una ritirata notevole.

Nel 1944-1945 il dollaro-oro fu imposto dopo che gli Stati Uniti (USA) furono tra i vincitori della Seconda Guerra Mondiale ed imposero la propria moneta al Regno Unito, sostituendo la sterlina come valuta di riferimento mondiale.
All’inizio degli anni settanta la crisi del dollaro-oro (che si trascinava dal 1967) pose fine al dollaro basato sull’oro; tuttavia, l’accordo ottenuto dall’ex-segretario di Stato Henry Kissinger e dalla Casa dei Saud permise la nascita del cosiddetto petrodollaro.

Il petrodollaro era la moneta che esprimeva gli interessi delle multinazionali statunitensi già inglobanti Europa e Giappone.

In realtà, il petrodollaro non è la valuta nazionale del capitale industriale statunitense, perché le multinazionali statunitensi dominavano produzione, commercio mondiale e consumo globale del petrolio. Per tale ragione poterono concordare e imporre la nuova valuta di riferimento mondiale, il petrodollaro, strumento d’estorsione che costringe tutti i Paesi a scambiare produzione e lavoro reali con una moneta creata dal mero debito e senza base. Oggi sempre più Paesi vedono il predominio del dollaro come ostacolo alla sovranità e al buon sviluppo nell’economia globale, mostrandone l’attuale crisi d’egemonia.

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