Politica

Amazzonia e popoli indigeni in pericolo

Amazzonia e popolazioni indigene del Brasile sotto tiro del nuovo presidente Jair Bolsonero, che vuole abolire il ministero dell'ambiente

Amazzonia e popoli indigeni in pericolo se verrà abolito il ministero dell'ambiente

A un passo dalla vittoria, Jair Bolsonero ha fatto promesse ben chiare: abolirà il ministero dell'ambiente, cancellerà la legislazione ambientale, aprirà le terre indigene allo sfruttamento minerario, abbandonerà l'Accordo di Parigi e asfalterà un'autostrada che taglia in due l’Amazzonia, per aprirla agli allevamenti di bestiame e alle piantagioni di soia. La sua intenzione è chiara: cancellare la foresta amazzonica.

I comizi di Bolsonero sono pieni di retorica razzista, omofobica, autoritaria e misogina, e apologia della spietata dittatura che governò il Brasile 40 anni fa. In tutta l'Amazzonia, i taglialegna illegali, i minatori, i land grabber, così come i grandi proprietari terrieri si sono radunati dietro al suo stendardo. Non si aspettano che Bolsonaro faccia rispettare la legge. Al contrario, la speranza è che egli adempia la sua promessa di annientare quasi tutte le misure di protezione dell'ambiente e degli indigeni.

“Invece di diffondere il messaggio che combatterà la deforestazione e il crimine organizzato, dice che attaccherà il ministero dell'ambiente, l'Ibama e l'ICMBio [le agenzie federali ambientali del Brasile].” - spiega l'attuale ministro dell'ambiente brasiliano Edson Duarte, che pure ha drammaticamente tagliato i fondi alle stesse agenzie ambientali - “È come dire che ritirerà la polizia dalle strade. L'aumento della deforestazione sarà immediato. Ho paura che si scateni una corsa all’oro, a chi arriva prima. Sanno tutti che chi occupa la terra illegalmente, potrà contare su autorità compiacenti. Saranno sicuri che nessuno li disturberà”.

Le politiche ambientali di Bolsonaro sono legate all'atteggiamento razzista nei confronti delle minoranze e delle popolazioni indigene del Brasile. In un discorso dell'anno scorso, ha dichiarato che: “le minoranze devono piegarsi alla maggioranza ... Le minoranze [devono] adattarsi o semplicemente svanire.”

Tutti schiavi del sistema finanzcapitalistico

Il sistema capitalistico ha spostato l’asse dall’economia reale a quella finanziaria tanto da essere stato ribattezzato finanzcapitalismo

Una delle trasformazioni più inumane del sistema capitalistico industriale, fondato originariamente sull’industria manifatturiera e più in generale di produzione, è quella in capitalismo finanziario, in cui il potere è concentrato in pochi grandi istituti di credito.

Le banche hanno cessato il loro ruolo di supporto e di credito allo sviluppo, preferendo investire in prodotti finanziari dai quali viene generato altro capitale, in un sistema autoreferenziale in cui i profitti nascono dalla speculazione, senza passare attraverso il lavoro e la produzione.

In modo graduale, ma anche repentino, il sistema capitalistico ha spostato l’asse dall’economia reale a quella finanziaria e, ancora peggio, alla speculazione che ne deriva, tanto da essere stato ribattezzato “finanzcapitalismo” o “capitalismo ultrafinanziario”.

Orientato alla massimizzazione del profitto ricavato dal denaro stesso, in esso la ricchezza non passa attraverso la produzione di beni o servizi, né è previsto un piano di redistribuzione tra lavoratori e consumatori, ma solo l’accentramento nelle mani di pochi, pochissimi. Da sempre strumento di supporto dell’economia capitalistica, con l’avvento del neoliberismo la finanza si è tramutata da servitore a padrone dell’economia mondiale, fagocitandola e riproducendosi a ritmi vertiginosi.

A partire dal 1980 l’ammontare degli attivi generati dal sistema finanziario ha superato il valore del Pil dell’intero pianeta. Da allora la corsa della finanza al profitto è diventata così veloce da quintuplicare per massa di attivo l’economia reale nel giro di un trentennio.

Sotto la presidenza Bill Clinton, sono state introdotte due pietre miliari per completare la deregolamentazione del sistema finanziario neoliberista. Con l’abolizione del Glass-SteagallAct – introdotto da Roosevelt l’anno successivo alla crisi del ’29 – è stata eliminata la separazione tra banche d’affari e d’investimenti, che così hanno riconquistato concentrazioni di potere economico.

L’euro è veramente una moneta unica?

L’euro non è una moneta unica in quanto, secondo il Tfue, i diversi Paesi europei possono coniare monete diverse da quelle valide nell’eurozona

L’euro viene definita moneta unica, ma è tale solo in linea teorica perché, a ben guardare, gli Stati dell’UE non hanno perso la loro sovranità monetaria

Dall’anno del suo debutto, il lontano 2002, siamo abituati a considerare l’euro una moneta unica, o almeno così l’hanno definita durante il lungo periodo che ha preceduto la sua introduzione. All’atto pratico, però, l’euro non è affatto una moneta unica in quanto, secondo il Tfue – Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea – i diversi Paesi europei possono coniare monete diverse da quelle valide nell’eurozona; solo le monete da 1, 2, 5, 10, 20, 50 centesimi e 1 e 2 euro sono fissate dalla Bce. Lo dimostra il fatto che il Belgio ha potuto coniare una moneta – seppur commemorativa – da 2,5 euro senza violare alcuna legge.

Perché l’euro non può considerarsi “moneta unica”

L’euro non è una moneta unica: con il termine “euro” si identificano le varie monete nazionali – tutte diverse fra loro – coniate dai Paesi che fanno parte dell’Ue. Queste hanno in comune solo la medesima unità di misura e un rapporto di cambio fisso; ciò significa, ad esempio, che il valore di 1 euro spagnolo è uguale a quello di 1 euro italiano. Tale valore, inoltre, rimane immutato nel tempo.

Oltre al Belgio, anche altre nazioni hanno coniato fin dal 2002 monete commemorative di valori diversi rispetto a quelli fissati dalla Bce.

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