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Il fenomeno della fake science. Migliaia di studi scientifici artefatti

Migliaia di scienziati hanno pubblicato studi su riviste che si autodefiniscono scientifiche ma non compiono gli adeguati controlli di qualità dei contenuti

Si chiama 'fake science' ed è la nuova frontiera delle bufale online. Approfittando dell'avidità dei ricercatori e della cialtroneria di alcuni editori pubblicano studi fake

Il mondo è pieno di 'fake science'. Centinaia di migliaia di scienziati in tutto il mondo hanno pubblicato studi su riviste che si autodefiniscono scientifiche e che non compiono i controlli di accuratezza e qualità indispensabili in questi casi.

Decine di giornalisti dei media in Europa, Asia e Stati Uniti hanno analizzato 175.000 articoli scientifici pubblicati da cinque delle più grandi piattaforme pseudo-scientifiche del mondo, tra cui l'indiana Publishing Group o la turca World Academy of Science, Engineering and Technology (Waset).

Errori in malafede

Oltre a non far rivedere gli articoli ad altri esperti o redattori della riviste, si fanno pagare per pubblicarli e accettano ricerche firmate da dipendenti di aziende farmaceutiche, ma addirittura anche 'studi' sul cambiamento climatico che promuovono discutibili teorie.

A realizzare l'inchiesta è stato un pool internazionale di giornalisti investigativi(1) (composto da redattori di New Yorker, Le Monde,(2) Indian Express e dell'agenzia coreana Newstapa) che ha scoperto, ad esempio, che alcuni editori inviano email mirate a quegli scienziati che devono pubblicare il maggior numero possibile di articoli per ottenere promozioni e arricchire il loro curriculum.

Anna Bono: la maggior parte degli africani arrivano in Europa per cercare lavoro

Esiste sul tema dell’immigrazione un falso mito: la maggioranza degli africani non fugge da situazioni di estrema povertà. Il grosso dei migranti appartiene al ceto medio

I migranti che arrivano in Europa dall’Africa sono per lo più (oltre l’80%) giovani maschi, di età compresa tra i 18 e i 34 anni, che viaggiano da soli.

Le coppie e le famiglie sono una minoranza. Provengono da una serie di paesi dell’Africa subsahariana, anche se quest’anno c’è stato un picco di emigranti tunisini, con una prevalenza dall’Africa centrale e occidentale, da paesi come Nigeria, Senegal, Camerun, Costa d’Avorio, Ghana.

La loro condizione sociale? Non è facile dirlo, perché ci sono situazioni anche molto diverse tra loro. Va detto, comunque, che esiste sul tema dell’immigrazione un falso mito: la maggioranza non fugge da situazioni di estrema povertà. In genere sono persone provenienti da centri urbani, ed è lì che maturano l’idea di lasciare il paese.

Dunque mi sembra corretto sostenere che il grosso dei migranti appartenga al ceto medio: persone non ricche, ma nemmeno povere, in grado di pagare profumatamente chi organizza i viaggi. Un paio d’anni fa, in un’intervista, il ministro dei Senegalesi all’Estero ha detto: «Qui non parte gente che non ha nulla, parte gente che vuole di più». L’idea diffusa in Africa è che basta arrivare in Europa per godere del benessere, senza considerare però che dietro la ricchezza prodotta ci sono dei sacrifici.

Ad alimentare questa illusione sono vari fattori. Uno su tutti: i trafficanti, che come è noto gestiscono la gran parte dei viaggi verso l’Europa. Sono loro che rafforzano questa idea, lo fanno ovviamente per procurarsi clienti.

L'intelligenza artificiale interromperà e favorirà il posto di lavoro, afferma uno studioso di Stanford

L'intelligenza artificiale interromperà e favorirà il posto di lavoro, afferma uno studioso di StanfordL'intelligenza artificiale offre sia promessa che pericolo in quanto rivoluziona il luogo di lavoro, l'economia e le vite personali, afferma James Timbie dell'Hoover Institution, che studia l'intelligenza artificiale e altre tecnologie.

Sul posto di lavoro di domani, molti lavori di routine saranno sempre più svolti dalle macchine, lasciando compiti più complicati agli umani che possiedono abilità interpersonali, dice uno studioso di Stanford.

L'intelligenza artificiale e altre tecnologie avanzate promettono progressi in salute, sicurezza e produttività, ma i disagi economici su larga scala sono inevitabili, ha dichiarato James Timbie, un Distinguished Visiting Fellow di Annenberg presso l'Hoover Institution. Si è formato a Stanford come fisico, ha lavorato come senior advisor presso il Dipartimento di Stato dal 1983 al 2016, dove ha svolto un ruolo chiave nel controllo degli armamenti e nel disarmo, e ora studia l'impatto di tecnologie emergenti come l'intelligenza artificiale.

Timbie ha discusso di cosa il futuro potrebbe riservare ai lavoratori(1) in un capitolo del nuovo libro, “Beyond Disruption: Technology's Challenge to Governance”,(2) che ha co-editato con Hoover, George P. Shultz(3) e Jim Hoagland.(4) È stato recentemente intervistato sull'argomento.

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