Ricerche

Il CO2 compromette l’ambiente marino

La ricerca ha stimato che l’aumento di CO2 sull’ambiente marino potrebbe porvocare una erosione delle spiagge e maggiori rischi di inondazioni

Scienziati di Cnr e Università Ca’ Foscari hanno realizzato la prima ricerca scientifica sugli effetti a catena che legano emissioni in atmosfera ( CO2 ), acidificazione del mare ed erosione costiera.

Il Mediterraneo caso di studio: possibile calo dei sedimenti del 31% al 2100. I risultati pubblicati su Climatic Change.(1)

Dune e spiagge potrebbero modificare il loro aspetto per l’aumento di emissioni di anidride carbonica in atmosfera, già tra le concause del cambiamento climatico in atto. A svelarlo un lavoro coordinato dall’Istituto per lo studio degli impatti antropici e sostenibilità in ambiente marino del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ias) di Oristano, svolto in collaborazione con l’Università Ca’ Foscari Venezia. La ricerca, pubblicata sulla rivista Climatic Change, ha analizzato la catena di effetti innescati dall’aumento di CO2 sull’ambiente marino, stimando che da oggi al 2100 l’accumulo dei sedimenti alla base dei sistemi dunali mediterranei potrebbe calare del 31%, con erosione delle spiagge e maggiori rischi di inondazioni. Il caso di studio analizzato dai ricercatori è stata la baia di San Giovanni, lungo la penisola del Sinis, in Sardegna.

“Lontano dalle foci dei fiumi, i sistemi duna-spiaggia possono essere formati, interamente o in buona parte, da sedimenti carbonatici prodotti dagli ecosistemi marini, ad esempio praterie sottomarine di Posidonia oceanica”, spiega Simone Simeone, ricercatore Cnr-Ias, che ha coordinato lo studio. “Tali sedimenti potrebbero essere dissolti dall’acidità crescente dei mari: secondo recenti studi entro fine secolo il pH marino potrebbe scendere di circa 0.4 unità. A provocare l’acidificazione degli oceani, come noto, è l’aumento dell’anidride carbonica in atmosfera”.

Curare la cefalea con sostanze estratte dalle piante

Circa il 79% delle piante utilizzate nel passato hanno un'azione anti-infiammatoria e analgesica in grado di contrastare i meccanismi della cefalea

Il 79% delle piante hanno proprietà anti-infiammatorie e analgesiche per curare la cefalea

È quanto emerge da uno studio dell’Istituto per i sistemi agricoli e forestali del Mediterraneo e dell’Istituto di scienze neurologiche del Cnr sui rimedi vegetali usati nella medicina popolare tra il XIX e il XX secolo. Circa l’80%, alla luce delle attuali conoscenze farmacologiche, presenta componenti in grado di contrastare i meccanismi alla base del mal di testa. Il 40% di queste piante era in uso già da circa 2000 anni. La ricerca è stata pubblicata sul Journal of Ethnopharmacology.(1)

Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, la cefalea è tra i disturbi del sistema nervoso più diffusi, con conseguenti gravi problemi di salute e disabilità. I ricercatori del Consiglio nazionale delle ricerche - Istituto per i sistemi agricoli e forestali del Mediterraneo (Isafom-Cnr) e Istituto di scienze neurologiche (Isn-Cnr) - si sono interessati all’argomento con uno studio sui rimedi vegetali usati dalla medicina popolare italiana tra il XIX ed il XX secolo.

“Alla luce delle attuali conoscenze farmacologiche, circa il 79% delle piante utilizzate nel passato presenta metaboliti secondari (composti organici che non hanno una funzione diretta sulla crescita e lo sviluppo delle piante) con azione anti-infiammatoria e analgesica e comunque in grado di contrastare i meccanismi ritenuti alla base delle principali forme di cefalee”, spiega Giuseppe Tagarelli dell’Istituto per i sistemi agricoli e forestali del Mediterraneo (Isafom-Cnr). “Componenti organici quali flavonoidi, terpenoidi, fenilpropanoidi sembrano poter bloccare, in vivo, i mediatori chimici coinvolti nell’insorgenza delle cefalee.

Guanto elettronico che dà sensibilità tattile ai robot

Questa tecnologia permetterà in futuro di conferire ai robot quel tipo di capacità di rilevamento tattile che si trovano nella pelle umana

I ricercatori di Stanford hanno sviluppato un guanto elettronico che conferisce alle mani di un robot di toccare delicatamente un lampone senza schiacciarlo

In un recente articolo pubblicato su Science Robotics,(1) la dottoressa Zhenan Bao(2) e il suo team hanno dimostrato che i sensori funzionano abbastanza bene da consentire a una mano di un robot di toccare una bacca delicata e gestire una palla da ping-pong senza schiacciarli.

La dottoressa Zhenan Bao spiega: “questa tecnologia ci permetterà in futuro di conferire ai robot quel tipo di capacità di rilevamento che si trova nella pelle umana. I sensori nella punta delle dita del guanto misurano simultaneamente l'intensità e la direzione della pressione, due qualità essenziali per raggiungere la destrezza manuale.

I ricercatori devono ancora perfezionare la tecnologia per controllare automaticamente questi sensori con l'obiettivo di conferire a un robot, che indossa il guanto tecnologico, la destrezza nel tenere un uovo tra il pollice e l'indice senza romperlo o lasciarlo scivolare.”

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