Ecologia

Gli indigeni sono i migliori custodi delle foreste


Gli indigeni sono i principali esperti della gestione sostenibile delle foreste, un elemento chiave nelle strategie per proteggere il clima.

E così le popolazioni indigene hanno finalmente ottenuto un riconoscimento al vertice internazionale sul clima tenutosi a San Francisco lo scorso mese di settembre.

Nuovi "principi guida" per la collaborazione sostenuti da tre dozzine di province e stati tropicali in nove paesi rafforzano i diritti degli indigeni alla terra, all'autogoverno e la alla gestione delle risorse finanziarie per la salvaguardia delle foreste.

"La partnership tra governi e leader indigeni segna un cambio di paradigma nell'impegno tribale e indigeno", ha commentato Mary Nichols, presidente del Consiglio delle risorse aeree della California, al Global Climate Action Summit. Fino ad oggi, le comunità native nelle foreste dell'America Latina, dell'Africa e dell'Asia hanno visto le loro terre ancestrali degradate e distrutte - a volte con la benedizione dei governi locali o nazionali - da parte delle industrie estrattive (petrolio, oro) e dalla grande agricoltura (soia, palma olio, bestiame).

Persino gli sforzi delle Nazioni Unite per coinvolgere le popolazioni indigene nella prevenzione della deforestazione si sono manifestate "in un contesto di violazioni dei diritti, deportazione e espropriazione, minacce e vessazioni nei territori indigeni e repressione e assassinio di attivisti ambientali da parte di forze statali e private", come sostiene il Centro per la ricerca forestale internazionale (CIFOR). Almeno 207 ambientalisti, metà delle tribù indigene delle foreste tropicali, sono stati assassinati nel 2017, secondo Global Witness.

L’83% dei mammiferi selvatici è scomparso. I dati della catastrofe causata dall'uomo

L’83% dei mammiferi selvatici è scomparso. I dati della catastrofe causata dall'uomoÈ uscita una recente ricerca sulla vita sulla Terra, che può lasciarci senza fiato. Rivela quanto sia piccola la nostra umanità, ma quanto sia stato sproporzionatamente grande l’impatto che gli esseri umani hanno prodotto sulla terra.

Il 60% dei mammiferi ormai è costituito da bestiame di allevamento. Nella foto: Allevamento di bovini nel Mato Grosso, in Brasile (Daniel Beltra / Greenpeace).

Questa valutazione sulla vita del pianeta, rivela, allo stesso tempo, quanto sia insignificante l’Umanità comparandola con il suo impatto esercitato nel grande schema della vita terrestre.

Secondo questo studio, i 7,6 miliardi di persone che oggi vivono nel mondo rappresentano solo lo 0,01% di tutti gli esseri viventi, malgrado ciò, dagli albori della sua civiltà, l’umanità ha provocato la scomparsa dell’83% di tutti i mammiferi selvatici e della metà delle piante viventi, mentre domina su tutto il bestiame che serve all’alimentazione degli umani.

Questa ricerca è la prima stima completa sul peso percentuale esercitato da ciascuna classe di creature viventi e ribalta certi presupposti che finora ci avevano sempre accompagnato. In sintesi i batteri sono una forma di vita veramente importante – il 13% del totale – ma le piante oscurano tutto il resto e rappresentano l’82% di tutta la materia vivente. Tutte le altre creature, dagli insetti ai funghi, ai pesci e agli animali, costituiscono solo il 5% della biomassa mondiale.

Ionizzatori negativi come soluzione alla carenza di piogge

Ionizzatori negativi come soluzione alla carenza di pioggeNegli Emirati Arabi Uniti e in Australia si cercò di rimediare alla carenza di precipitazioni già nel 2011

Al Ain è la quarta città più grande degli Emirati Arabi Uniti ed è situata nel deserto. Riceve meno di un centimetro di pioggia all’anno, e questo rende l’agricoltura impossibile. Ma si è riuscito a trovare una soluzione: piogge artificiali.(1)

Nel 2010, il presidente degli Emirati Arabi Uniti, Sheikh Khalifa bin Zayed Al Nahyan, investì 11 milioni di dollari in un team di scienziati che, utilizzando uno ionizzatore di grosse dimensioni, provarono ad attirare la polvere con ioni a carica negativa e formare nuvole. Queste nuvole di polvere dovevano attirare l’umidità presente nell’aria e, in teoria, sarebbe dovuto piovere.

Il progetto, mantenuto segreto fino all’anno dopo, funzionò: su settantaquattro tentativi svolti durante l’estate (in giorni con il 30% o più di umidità atmosferica) cinquantadue andarono a buon fine. Non è ancora chiaro se la pioggia creata fosse sufficiente a sostenere lo sviluppo vegetale della zona, quel che è certo è che in Australia stanno sperimentando un progetto simile da una decina di anni.

È il caso della Australian Rain Technology (ART),(2) società commerciale impegnata nello sviluppo efficace di tecnologie di miglioramento delle precipitazioni, incentrata sulla ricerca e lo sviluppo di tecnologie di ionizzazione a terra e sull'avanzamento di metodologie statistiche predittive e di valutazione.

Pagine