Iniziative sociali

Continua l'iniziativa 'Contante Libero'

BanconoteSono ormai passati più di 3 anni dalla nascita dell’iniziativa Contante Libero.

Contante Libero, in questo periodo di tempo, ha avuto sicuramente il pregio ed il coraggio di aver squarciato qualche velo di ipocrisia ed aver ostacolato, attraverso la forza delle sue idee, gli interessi esclusivi di certe élites.

Contante Libero non si batte per sostenere: “per quanto concerne il cosiddetto denaro a corso legale (quell’unità monetaria, nel nostro caso l’Euro, che lo Stato, nell’ambito del suo territorio, considera come mezzo legale di pagamento e che cioè non può essere rifiutata per l’estinzione delle obbligazioni pecuniarie) utilizzate il contante e non le modalità di pagamento elettroniche”. Chi ha capito questo è fuori strada.

Contante Libero si batte, invece, per sostenere: “per quanto concerne il cosiddetto denaro a corso legale, utilizzate per i vostri scambi le modalità di pagamento che più desiderate, usate, se lo ritenete opportuno, anche sempre e solo gli strumenti elettronici di pagamento, ma le organizzazioni statali, che sono gli emittenti del denaro a corso legale, non si azzardino ad abolire il relativo contante o a rendere totalmente o quasi totalmente illegale il suo impiego (il che equivarrebbe ad una abolizione de facto del contante), perché il denaro non è di proprietà dell’istituzione emittente ma appartiene a chi legittimamente lo guadagna e se costui un giorno desidera sottrarre il proprio denaro a corso legale alla supervisione del sistema Stato-banche deve avere la possibilità in ogni caso di farlo”.

Rio+20: l'ennesimo fallimento

Rio+20Alla Conferenza di Rio sul clima saltano fuori tutte le contraddizioni politiche del presente. Il vuoto di potere globale ed i soliti interessi in gioco di magnati e petrolieri fanno presagire un ennesimo fallimento

Obama, Cameron e la Merkel hanno deciso di disertare la Conferenza sul Clima in programma a Rio de Janeiro. Ognuno è preso dalle sue storie politiche personali ed è poco interessato a dare anche solo un segnale di interesse verso i cambiamenti climatici e la progettazione del futuro.

All'apertura degli incontri del Convegno si respira un'aria pesante di sfiducia.
Ieri sera intanto è saltato anche l'accordo per gli Oceani. USA, Russia, Canada e Venezuela hanno affondato l’ultima speranza per un accordo mondiale per la protezione delle acque internazionali. Duro il commento di Greenpeace: "L’Ocean Rescue Plan for the High Seas è stato affondato da chi vuole sfruttare fino all’esaurimento le risorse ittiche e i minerali del fondo marino, compreso il petrolio. Il nostro ministro “tecnico” Passera, che vuol riaprire alle trivelle i mari italiani, ringrazia commosso.

L’Ocean Rescue Plan era l’ultima cosa seria sul tavolo del vertice Rio+20, gettate a mare le ambizioni sulla Green Economy, sulla governance delle questioni ambientali, sull'accesso al cibo, i lavori dignitosi e troppo altro.

Cosa c’entra tutto questo con il futuro migliore che ci hanno promesso? Che c’entra con la Green Economy che dovrebbe garantire la compatibilità tra le nostre economie e un Pianeta con risorse limitate e sempre più prossime all’esaurimento? Forse qualcuno ha scambiato la green economy con la greenwashing economy, la sostenibilità con l’opportunità di ricoprire le vergogne di chi è responsabile dei danni inferti al Pianeta con qualche velo sottile".

Un nuovo codice forestale per salvaguardare l'Amazzonia

AmazzoniaSos Amazzonia: il 25 aprile 2012, il Parlamento brasiliano sarà chiamato ad approvare il nuovo codice forestale, che dovrebbe tutelare il polmone verde del mondo.

Sarà, ma gli ambientalisti insorgono convinti che la nuova legge regalerà il territorio sacro agli indios alle grandi multinazionali del legname, del petrolio, dell'allevamento, della coltivazione di soia (per foraggiare gli allevamenti di bovini).

La foresta amazzonica, dunque, ricca di biodiversità, culla di vita, resta in grave pericolo. Perché le devastazioni, perpetrate tra il 1970 e i giorni nostri, sono già state notevoli. Di seguito alcune cifre che danno l'idea del disastro: il 19 per cento della foresta (tanto per capirci si tratta di 747 mila chilometri quadrati) è andato distrutto e i terreni, per il 70 per cento, sono stati adibiti a pascolo.

I bovini, allevati in Amazzonia, vengono per la maggior parte esportati nei Paesi del primo mondo. Pensate che la produzione di carne bovina in Brasile è triplicata, a danno della foresta pluviale e di tutte le specie viventi che la abitano da millenni. Le vacche, ovviamente, sono innocenti, è la brama di denaro che uccide la foresta pluviale.

E l'Italia? Purtroppo anche il nostro Paese gioca la sua parte nelle deforestazione. Tra il 1997 e il 2007, prima della crisi globale, le importazioni di carne dal Brasile sono passate da 10 mila a 50 mila tonnellate. Sono poi crollate nel 2008 per assestarsi oggi sulle 20 mila tonnellate.

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