Agenti tossici

Nanoparticelle e marcatori genetici del DNA

A loro insaputa, i Gilets gialli sono diventati cavie di un esperimento sugli esseri umani con nanoparticelle e marcatori genetici

Pubblichiamo un articolo che, mutatis mutandis, ha attinenza con il problema per antonomasia, ossia la biogeoingegneria clandestina, soprattutto se si considera appunto il versante biologico ( nanoparticelle e marcatori genetici ) della sinistra e nefasta attività, aspetto già illustrato tempo addietro in particolare dalla giornalista investigativa Carolyn Williams Palit. (1)

A loro insaputa, i cosiddetti Gilets gialli sono diventati cavie di un esperimento sugli esseri umani con nanoparticelle e marcatori genetici (2) il cui effetto sugli organismi biologici è ancora poco conosciuto.

Per il governo francese, si tratta d’innocui “prodotti di marcatura chimica codificati” che impregnano la pelle, i capelli ed i vestiti delle persone interessate per un periodo di tempo variabile da diverse settimane ad alcuni decenni. Ufficialmente questa tecnologia non è mai stata adoperata contro esseri umani. Tuttavia, accurate informazioni raccolte da alcuni professionisti della sicurezza indicano che anche prima ed altrove i governi non hanno lesinato queste armi. Durante la diciottesima manifestazione dei Gilets gialli, cannoni ad acqua e gas, contenenti marcatori di DNA e nanoparticelle, sono stati impiegati contro i partecipanti ai cortei. Non solo, oltre ai marcatori chimici e alle nanoparticelle, risultano aggiunte sostanze psicotrope.

Queste “armi contro il DNA” sono state sviluppate nel Regno Unito e usate in Israele. Qui detenuti palestinesi hanno dichiarato di aver contratto vari tipi di tumori in seguito all’etichettatura del corredo genetico.

Per i fautori di tali procedimenti, i prodotti di etichettatura del DNA o dell’RNA non rappresentano alcun rischio, ma le loro dichiarazioni non sono avvalorate da alcuna evidenza scientifica.

Poche navi cargo inquinano come quasi tutte le auto del mondo

Le navi, dai cargo alle crociere e ai traghetti, inquinano con un impatto sull’ambiente devastante nell’aria quanto nell’acqua del mare

Pochi giganteschi cargo in mare aperto riescono ad inquinare come quasi tutte le auto del mondo. Dal 2020 dovranno utilizzare un gasolio più pulito.

Le auto Diesel sembrano avviarsi al capolinea, messe all’angolo della mobilità dalle istituzioni in seguito agli scandali sulle emissioni ritoccate dai colossi tedeschi dell’automobile.

Le maggiori città europee si preparano a chiudere il traffico ai Diesel più vecchi, le case automobilistiche si trovano a dover svuotare i magazzini e a tagliare la produzione di questi motori in favore di unità elettriche o ibride. Il motivo principale di questa rivoluzione è l’inquinamento.

Il motore Diesel amato per decenni si è mostrato più inquinante di quello a benzina, e per questo scomparirà dalle nostre strade. In mare ci sono invece ancora numerose navi e cargo alimentate con un gasolio meno raffinato di quello utilizzato dalle auto, che bruciano ettolitri di carburante per percorrere poche decine di metri.

Secondo alcuni studi, una ventina di navi porta container, spesso lunghe circa 400 metri, nei loro tragitti transoceanici inquinerebbero come la totalità del parco auto mondiale, un dato che troppo spesso viene messo da parte. L’IMO, Organizzazione Marittima Internazionale, ha per questo previsto che dal 2020 anche in mare sarà obbligatorio l’utilizzo dello stesso gasolio utilizzato dalle auto, con un basso contenuto di zolfo.

Le navi inquinano più delle auto Diesel?

Il mondo dei mari segue norme diverse da quello terrestre e stradale, come se fosse esente dal Protocollo di Kyoto sull’inquinamento e il surriscaldamento globale.

Chi comanda il clima del pianeta


I cambiamenti climatici sono una conseguenza della manipolazione artificiale del clima.

Durante tutta la lunga storia dell’umanità i fenomeni atmosferici e le catastrofi naturali hanno sempre rappresentato un qualcosa d’ineluttabile, totalmente disancorato da qualsivoglia attività antropica venisse svolta sul pianeta. Alluvioni, siccità, ondate di gelo o di caldo, così come terremoti, eruzioni vulcaniche, maremoti, uragani o trombe d’aria potevano forse venire attribuiti all’ira degli dei o alla volontà divina, ma la responsabilità dell’uomo nell’ambito di tali catastrofi non è mai andata oltre alla recriminazione per non essere riuscito a ingraziarsi adeguatamente il “Padreterno”.

Solamente nel corso dell’ultimo secolo si è iniziato ad avere la percezione (o la presunzione) che l’attività degli esseri umani potesse in qualche misura condizionare il clima terrestre e i grandi eventi naturali che tormentano il nostro pianeta. Intorno alla metà del secolo scorso vennero compiuti i primi esperimenti di “bombardamento” delle nubi temporalesche per evitare il rischio di grandine e di irrorazione delle nuvole con cristalli di sale per favorire la formazione della pioggia. Mentre negli anni 80 l’allarme causato dal tristemente noto buco nell’ozono mise per la prima volta l’attività antropica sul banco degli imputati di un potenziale disastro a livello globale.

Durante gli ultimi decenni il convincimento che l’attività umana, volontariamente o involontariamente, sia in grado di condizionare tanto il clima quanto gli eventi naturali si è fatto progressivamente sempre più strada.

Da un lato la comunità scientifica mondiale attraverso i rapporti del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC) ha ufficialmente attribuito all’attività antropica, in particolare alle emissioni di anidride carbonica, il presunto aumento della temperatura di alcuni gradi che dovrebbe progressivamente avvenire nel corso del XXI secolo, meglio conosciuto come “riscaldamento globale”. Ufficializzando scientificamente come l’attività dell’uomo sia in grado di mutare radicalmente il clima dell’intero pianeta e dando vita a tutta una serie di contromisure (la cui utilità resta assai dubbia) a partire dalla ratifica del protocollo di Kyoto e dalla creazione del progetto Agenda 21. Dichiarando esplicitamente come l’attività dell’uomo sia in grado di modificare in profondità il clima dell’intero pianeta, fino al punto da stravolgerne pesantemente gli equilibri.

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