Le teorie quantistiche dei sistemi biologici

I ricercatori stanno studiando in maniera più profonda ed articolata le descrizioni inerenti alle teorie quantistiche dei sistemi biologici

Cercare di capire a fondo le basi quantistiche dei sistemi biologici ed analizzarla dal punto di vista fisico-matematico sono una delle attuali sfide della scienza.

Nel passato i sistemi biologici sono stati spesso visti come troppo complessi per essere penetrabili con metodi di natura fisico-matematica. La realtà “essere vivente” era considerata troppo articolata per poter essere analizzata da insiemi di equazioni differenziali e principi fisici.

All’inizio del XX secolo, con l’avvento di tecniche e strumenti più potenti e sofisticati, i ricercatori hanno iniziato a studiare in maniera più profonda ed articolata le possibili descrizioni fisiche e matematiche dei sistemi biologici microscopici. Tra i possibili vari esempi ricordiamo i modelli di Turing, che si avvalgono della potenza della computazione quantistica, la morfogenesi, ossia il processo che porta allo sviluppo della forma e della struttura di un organismo, i lavori di Schrödinger, da cui vennero previste molte delle caratteristiche funzionali del DNA.

Attualmente i progressi in questo campo sono rapidi e molti rami della fisica e della matematica hanno trovato applicazioni in biologia, come ad esempio i metodi statistici utilizzati in bioinformatica. A queste scale di lunghezza la fisica classica cede il passo a quella quantistica, che non può essere evitata, poiché ogni processo chimico si basa di fatto sulla fisica quantistica.

Allora esistono sistemi biologici che utilizzano la fisica quantistica per eseguire compiti che non possono essere realizzati da un punto di vista classico? E grazie alla fisica quantistica possono essere realizzati in maniera più efficiente di quanto possa avvenire anche con il migliore equivalente classico? La risposta sembra ad oggi essere affermativa. Negli ultimi dieci anni una serie di esperimenti ha riscontrato diversi casi in cui la Natura si avvale della fisica quantistica per ottenere vantaggi biologici, sfruttando in particolare “sovrapposizioni coerenti di stati” per assistere o migliorare una funzione biologica.

L’euro è veramente una moneta unica?

L’euro non è una moneta unica in quanto, secondo il Tfue, i diversi Paesi europei possono coniare monete diverse da quelle valide nell’eurozona

L’euro viene definita moneta unica, ma è tale solo in linea teorica perché, a ben guardare, gli Stati dell’UE non hanno perso la loro sovranità monetaria

Dall’anno del suo debutto, il lontano 2002, siamo abituati a considerare l’euro una moneta unica, o almeno così l’hanno definita durante il lungo periodo che ha preceduto la sua introduzione. All’atto pratico, però, l’euro non è affatto una moneta unica in quanto, secondo il Tfue – Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea – i diversi Paesi europei possono coniare monete diverse da quelle valide nell’eurozona; solo le monete da 1, 2, 5, 10, 20, 50 centesimi e 1 e 2 euro sono fissate dalla Bce. Lo dimostra il fatto che il Belgio ha potuto coniare una moneta – seppur commemorativa – da 2,5 euro senza violare alcuna legge.

Perché l’euro non può considerarsi “moneta unica”

L’euro non è una moneta unica: con il termine “euro” si identificano le varie monete nazionali – tutte diverse fra loro – coniate dai Paesi che fanno parte dell’Ue. Queste hanno in comune solo la medesima unità di misura e un rapporto di cambio fisso; ciò significa, ad esempio, che il valore di 1 euro spagnolo è uguale a quello di 1 euro italiano. Tale valore, inoltre, rimane immutato nel tempo.

Oltre al Belgio, anche altre nazioni hanno coniato fin dal 2002 monete commemorative di valori diversi rispetto a quelli fissati dalla Bce.

Gli indigeni sono i migliori custodi delle foreste


Gli indigeni sono i principali esperti della gestione sostenibile delle foreste, un elemento chiave nelle strategie per proteggere il clima.

E così le popolazioni indigene hanno finalmente ottenuto un riconoscimento al vertice internazionale sul clima tenutosi a San Francisco lo scorso mese di settembre.

Nuovi "principi guida" per la collaborazione sostenuti da tre dozzine di province e stati tropicali in nove paesi rafforzano i diritti degli indigeni alla terra, all'autogoverno e la alla gestione delle risorse finanziarie per la salvaguardia delle foreste.

"La partnership tra governi e leader indigeni segna un cambio di paradigma nell'impegno tribale e indigeno", ha commentato Mary Nichols, presidente del Consiglio delle risorse aeree della California, al Global Climate Action Summit. Fino ad oggi, le comunità native nelle foreste dell'America Latina, dell'Africa e dell'Asia hanno visto le loro terre ancestrali degradate e distrutte - a volte con la benedizione dei governi locali o nazionali - da parte delle industrie estrattive (petrolio, oro) e dalla grande agricoltura (soia, palma olio, bestiame).

Persino gli sforzi delle Nazioni Unite per coinvolgere le popolazioni indigene nella prevenzione della deforestazione si sono manifestate "in un contesto di violazioni dei diritti, deportazione e espropriazione, minacce e vessazioni nei territori indigeni e repressione e assassinio di attivisti ambientali da parte di forze statali e private", come sostiene il Centro per la ricerca forestale internazionale (CIFOR). Almeno 207 ambientalisti, metà delle tribù indigene delle foreste tropicali, sono stati assassinati nel 2017, secondo Global Witness.

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