Materiali bidimensionali per i transistor del futuro

Transistore in disolfuro di molibdenoL’elettronica del futuro a base di materiali bidimensionali. Pisa tra i protagonisti nella corsa per la realizzazione di nuovi nanotransistori a basso consumo

La studio condotto da un team internazionale di ricercatori è stato pubblicato sulla rivista Nature Nanotechnology

Sempre più piccoli e basso consumo: sono i transistor del futuro, ma non è detto che siano in silicio. Una classe di materiali bidimensionali si unisce infatti al grafene nella sfida per dominare l’elettronica del domani.

Lo studio, recentemente pubblicato sulla rivista Nature Nanotechnology, è frutto del lavoro dei ricercatori dell’Università di Pisa che hanno collaborato con i colleghi dell’Istituto Italiano di Tecnologia, del Massachusetts Institute of Technology, dell’Università di Notre Dame, dell’Università di Dallas, della società di ricerca AMO e di Texas Instruments.

“Negli ultimi anni la comunità scientifica ha mostrato un forte interesse per i materiali bidimensionali come sostituti del silicio in elettronica - spiega Gianluca Fiori del dipartimento di Ingegneria dell'Informazione dell’Ateneo pisano - materiali dello spessore di un solo atomo come i calcogenuri dei metalli di transizione (TMD), il seleniuro di bismuto o il grafene, che per questo motivo sono promettenti per la realizzazione di transistor piccolissimi, fino a cinque nanometri, mentre quelli attuali sono circa 20 nanometri. Per rendersi conto delle dimensioni, un virus è circa 100 nanometri, un batterio è circa mille nanometri, e lo spessore di un capello è circa centomila nanometri”.

Sbarco su Marte: La NASA sta preparando la sua falsificazione

Set marzianoPer otto mesi, un gruppetto di 6 persone rimarrà volontariamente recluso in una postazione a forma di cupola nelle isole Hawaii. Sperimenterà uno stile di vita autarchico e solitario come se si trovassero sul pianeta rosso.

Chiamato Hawaii Space Exploration Analog and Simulation (HI-SEAS), l’esperimento sarà il più lungo condotto dalla NASA e il primo cui parteciperà una donna, Martha Lenio, 34enne prima a intraprendere una simulazione di permanenza marziana.

Il primo esperimento, dall’aprile ad agosto 2013 era durato 4 mesi. Analogamente al secondo periodo, dal 8 marzo al 25 luglio 2014.

L’iniziativa si ripromette di studiare i diversi aspetti della vita di un avamposto extraterrestre incluso il lavoro di squadra, resistenza all’isolamento, ritardo nelle telecomunicazioni ma sopratutto la risposta a livello psicologico di una stretta convivenza a quelle particolari condizioni di stress psicofisico.

Gli “astronauti” vivranno in una struttura cupoliforme di circa 100 metri quadri dotata di due bagni, cucina, sala da pranzo, area di lavoro e camerette singole, per ognuno degli componenti, che la Lenio definisce “un elogio chiamarle un armadio“.

La costruzione si trova in vicinanza del vulcano Mauna Loa a 2500 metri di quota il cui paesaggio brullo e inospitale rassomiglierebbe al suolo marziano.

Nello spazio gli astronauti rischiano la fertilità

AustronautaIl volo spaziale potrebbe rendere sterili gli astronauti e quindi ostacolare i piani per una missione umana a lungo termine su Marte.

Gli esperimenti sugli animali hanno dimostrato che gli organi riproduttivi sia maschili che femminili sono danneggiati dalla gravità zero.

È anche probabile che la radiazione non mediata nello spazio danneggi le ovaie delle donne e la produzione di sperma degli uomini.

Sebbene la maggior parte degli astronauti ha già una famiglia al momento in cui va nello spazio, la NASA è così preoccupata che ora offre il congelamento di ovociti e spermatozoi.

Guardoni. L’agenzia spaziale statunitense sta studiando l’attività di accoppiamento di un gruppo di topi a bordo della Stazione Spaziale Internazionale (ISS) per determinare la gravità del problema.

Studi russi precedenti hanno mostrato che quando ratti maschi e femmine sono stati inviati nello spazio nel 1979 non si sono accoppiati. Un altro studio ha rilevato che quando i roditori di sesso maschile sono stati messi in condizioni simulate di gravità zero non potevano più produrre sperma.

Il dottor Joseph Tash, del Dipartimento di Fisiologia Molecolare e Integrativa presso l’Università del Kansas: “Noi in realtà non abbiamo i dati umani per determinare se davvero quello che stiamo vedendo negli animali è traducibile per gli esseri umani. Ma stiamo assistendo a grandi impatti negli animali”, ha detto.

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