Natura

Il surriscaldamento causerà la femminilizzazione delle tartarughe verdi

Il sesso delle tartarughe appena nate è determinato dalla temperatura, e attualmente circa il 52 per cento delle tartarughe verdi da cova sono femmine

Fino al 93 per cento dei piccoli di tartarughe verdi potrebbe essere di sesso femminile entro il 2100, poiché i cambiamenti climatici causano la “femminilizzazione” della specie.

Il sesso delle tartarughe appena nate è determinato dalla temperatura e attualmente circa il 52% delle tartarughe verdi da cova - una delle sette specie di tartarughe marine - sono femmine.

Uno studio dell'Università di Exeter e del Centro per le Scienze Marine ed Ambientali(1) (Portogallo) suggerisce che nelle temperature più calde, previste dalle stime dell'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), il 76-93% dei nascituri di tartaruga verde sarà di sesso femminile. Le cifre stimate si riferiscono alla ricerca fatta in Guinea-Bissau e in Africa occidentale, ma i ricercatori si aspettano un quadro simile a livello globale.

Secondo gli studiosi l'incremento della proporzione porterebbe inizialmente a un numero maggiore di nidificazioni di femmine con un conseguente aumento della popolazione per poi arrivare a un repentino declino poiché le temperature di incubazione raggiungerebbero livelli considerati letali. Inoltre, l'innalzamento del livello del mare sommergerà il 33-43% delle attuali aree di nidificazione utilizzate dalle tartarughe verdi sulle spiagge in cui è stato effettuato lo studio.

la dottoressa Rita Patricio,(2) del Center for Ecology and Conservation dell'Università di Exeter's Penryn Campus in Cornovaglia, (Centre for Ecology and Conservation in Cornwall)(3) spiega: “le tartarughe verdi dovranno affrontare seri problemi in futuro a causa della perdita di habitat e dell'aumento delle temperature. I nostri risultati suggeriscono che la popolazione nidificante delle tartarughe verdi dell'Arcipelago di Bijagós, in Guinea-Bissau, farà fronte agli effetti del cambiamento climatico fino al 2100.

In Brasile una megalopoli costruita dalle termiti

Nella foresta brasiliana di Caatinga le termiti hanno costruito grandi e complessi edifici a forma di torri con intricati sistemi di tunnel sotterranei

Le termiti hanno costruito grandi e complesse megalopoli composte da catene di tunnel sotterranei in un'area di circa 233.000 km quadrati

La più grande e complessa megalopoli terrestre non è stata costruita dall'uomo, ma neppure dagli extraterrestri: i suoi costruttori sono le termiti.

Un team di scienziati ha appena calcolato, con l'aiuto di immagini satellitari, la reale estensione della distesa dei tumuli di terra innalzati dalle termiti nella foresta di Caatinga, nel nord-est del Brasile. Hanno scoperto che è formata da circa 200 milioni di coni di terra alti fino a 2,5 metri e larghi fino a 9, che insieme ricoprono un'area di circa 233.000 km quadrati: più o meno quanto la Gran Bretagna.

Roy Funch (Universidade Estadual de Feira de Santana, Brasile) conosce queste sofisticate opere architettoniche dagli anni '80, ma è solo negli ultimi tempi che la deforestazione ha reso riconoscibili i blocchi di terra accatastati dalle termiti.

Questi insetti sociali sono conosciuti per la loro capacità di costruire complessi edifici a forma di torri con intricati sistemi di tunnel. I tumuli, però, sono qualcosa di diverso: non si tratta di nidi abitati, ma di cumuli di terra di riporto mentre questi animali lavorano a catene di tunnel sotterranei, sepolti tra un cono e l'altro e al sotto di essi. In migliaia di anni, la terra messa da parte si accatasta in queste strutture a forma di cono prive di strutture interne.

Nuovi indizi per una conservazione delle specie più efficace

Un nuovo studio condotto da Stanford ha creato uno schema di conservazione delle specie che si concentra ampiamente su quelle che sono note come ecoregioni

I risultati mostrano una forte evidenza per le regioni che dividono le comunità vegetali e animali - uno sviluppo importante nel dibattito che dura da secoli sulla conservazione delle specie.

Nessuno aveva riferito di aver visto la strana creatura - un incrocio tra un orso e una scimmia - da prima della Grande Depressione. Poi, la scorsa estate, un biologo dilettante si è imbattuto nel presunto estinto canguro Wondiwoi mentre faceva trekking in Papua Nuova Guinea. La rivelazione ha sottolineato quanto poco sappiamo del mondo naturale: un grosso ostacolo alla conservazione.

Un nuovo studio condotto da Stanford supporta un approccio per la protezione di tutte le specie in un'area - quelle che conosciamo e quelle, come il canguro degli alberi, che per gli scienziati non hanno nemmeno bisogno di protezione. Questo schema di conservazione si concentra ampiamente su quelle che sono note come ecoregioni. Queste sono regioni geograficamente uniche, come deserti e foreste pluviali, che contengono comunità distinte di piante e animali.

Il nuovo studio, pubblicato su Nature Ecology & Evolution,(1) fornisce prove convincenti che le ecoregioni dividono significativamente le comunità di piante e animali. Questo apre un percorso verso nuovi approcci di conservazione che proteggono in modo più economico ed efficace le specie poco conosciute, come il canguro degli alberi, e preziosi servizi naturali come il controllo delle malattie e la filtrazione dell'acqua.

“La conservazione ambientale è limitata dalla mancanza di finanziamenti e altre risorse”, ha affermato l'autore principale dello studio Jeffrey Smith,(2) uno studente laureato in biologia di Stanford. "Le ecoregioni ci danno un modo per allocare in modo efficace i finanziamenti limitati".

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