Scienza

La tecnologia plug-and-play automatizza la sintesi chimica

I ricercatori hanno sviluppato il sistema di sintesi chimica automatizzato plug-and-play in grado di migliorare ulteriormente la sperimentazione

Il sistema plug-and-play semplifica la produzione chimica di nuove molecole per una miriade di applicazioni.

Progettare una nuova sintesi chimica può essere un processo laborioso con una buona dose di pazienza: miscelare prodotti chimici, misurare le temperature, analizzare i risultati e ricominciare da capo se non funziona. I ricercatori del MIT hanno ora sviluppato un sistema di sintesi chimica automatizzato in grado di eliminare molti degli aspetti più noiosi della sperimentazione.

“Il nostro obiettivo era creare un sistema facile da usare che consentisse agli scienziati di trovare le migliori condizioni per rendere le loro molecole più interessanti da studiare - una piattaforma di sintesi chimica generale con la massima flessibilità possibile”, afferma Timothy F. Jamison,(1) capo del dipartimento di chimica del MIT e uno dei leader del gruppo di ricerca.

Questo sistema potrebbe ridurre la quantità di tempo necessaria per ottimizzare una nuova reazione: da settimane o mesi a un solo giorno. I ricercatori hanno brevettato la tecnologia e sperano che sarà ampiamente utilizzata nei laboratori di chimica accademica e industriale.

“Quando abbiamo deciso di intraprendere questo progetto, volevamo che fosse qualcosa generalmente utilizzabile in laboratorio e non troppo costoso”, dice Klavs F. Jensen,(2) il professore di ingegneria chimica di Warren K. Lewis al MIT, dirigente del gruppo di ricerca, “Volevamo sviluppare una tecnologia che avrebbe reso molto più facile per i chimici sviluppare nuove reazioni”.

L'ex post dottorato del MIT la dottoressa Anne-Catherine Bédard e l'ex ricercatore del MIT il dottor Andrea Adamo sono gli autori principali dello studio pubblicato nell'edizione online di Science del 20 settembre.(3)

I batteri intestinali producono elettricità

I ricercatori hanno scoperto che i batteri intestinali riescono a produrre elettricità utilizzando una tecnica diversa rispetto ai più noti batteri elettrogeni

Gli scienziati della UC Berkeley hanno scoperto che un comune batterio, la Listeria monocytogenes, produce elettricità.

I batteri che producono elettricità sono stati individuati nelle miniere e nei fondali dei laghi. Gli scienziati non si sono accorti che esiste una fonte molto più a portata di mano: l'intestino umano.

Gli scienziati della UC Berkeley hanno scoperto che un comune batterio responsabile della diarrea, la Listeria monocytogenes, produce elettricità con una modalità completamente diversa rispetto ai più noti batteri elettrogeni e che centinaia di altre specie batteriche usano il medesimo processo.

Molti di questi batteri, produttori di elettricità, fanno parte del microbioma intestinale umano ma anche molti altri producono elettricità. Essi sono: gli insetti patogeni che causano la listeriosi, una malattia di origine alimentare che può anche causare aborti; I batteri che causano la cancrena (Clostridium perfringens); i batteri che provocano le infezioni contratte in ospedale (Enterococcus faecalis); alcuni batteri che provocano malattie da streptococco; altri batteri elettrogeni, come i lattobacilli. Questi ultimi sono importanti nella fermentazione dello yogurt e di molti probiotici.

Il dottor Dan Portnoy,(1) professore universitario di Berkeley nel settore molecolare nell'ambito della biologia cellulare, vegetale e microbica, sostiene: "L'interazione di una moltitudine di insetti con gli esseri umani, come i patogeni, i probiotici, nel nostro microbiota o coinvolti nella fermentazione di prodotti umani, sono elettrogenici. L'appofondimento del loro studio potrebbe dare alla scienza delle preziose informazioni su come questi batteri ci infettano o ci aiutino ad avere un intestino sano".

La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Nature.(2)

Diagnosticare patologie con la tecnologia bio-elettronica SiMoT

Con la tecnologia bio-elettronica SiMoT gli scienziati hanno misurato concentrazioni bassissime di proteine fino al limite record di una singola molecola

Ricercatori italiani dimostrano la possibilità di rivelare una singola proteina con un dispositivo bio-elettronico grande qualche millimetro, quindi fabbricabile su vasta scala a basso costo. Promette di diagnosticare patologie progressive non solo prima che i sintomi si manifestino ma addirittura appena l’organismo produce i primi bio-marcatori specifici.

Il risultato è pubblicato su Nature Communications ed è recensito da Nature.

È un successo tutto italiano - in collaborazione fra l’Istituto di fotonica e nanotecnologie del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ifn), l’Università degli studi di Bari ‘Aldo Moro’ (Uniba), l’Università di Brescia (Unibs) e il Consorzio per lo sviluppo di sistemi a grande interfase (Instm) - la prima misura record di una singola molecola di proteina, usando un transistor di dimensioni millimetriche. Il lavoro è frutto di un approccio interdisciplinare coordinato da Luisa Torsi docente all’Università di Bari e condotto dal responsabile Cnr-Ifn di Bari, Gaetano Scamarcio, con un team di chimici, fisici ed ingegneri formato da Cinzia Di Franco del Cnr, Giuseppe Mangiatordi, che prenderà servizio al Cnr a dicembre, Eleonora Macchia, Kyriaki Manoli, Brigitte Holzer, Domenico Alberga e Gerardo Palazzo di Uniba, Fabrizio Torricelli e Matteo Ghittorelli di Unibs.

Lo studio promette di poter diagnosticare patologie progressive non solo prima che i sintomi si manifestino, ma addirittura appena l’organismo produce i primi bio-marcatori specifici. Una potenziale rivoluzione per la diagnostica medica che, attualmente, si basa su tecnologie che rivelano al più centinaia di migliaia di marcatori. Nature Communications ha pubblicato il lavoro e Nature ha pubblicato su questa innnovativa tecnologia SiMoT un ‘technology highligth’.

“La prima evidenza sperimentale della misura di concentrazioni bassissime di proteine fino al limite record di una singola molecola è stata possibile usando un transistor di dimensioni millimetriche. è una ricerca alla quale abbiamo lavorato per oltre due anni ed è una grandissima soddisfazione vederla decollare”, sottolinea Gaetano Scamarcio del Cnr-Ifn.

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