Mari

Mangiare salmone? Meglio di no

Salmone tossicoAttenzione il contenuto di questo post potrebbe mettere in difficoltà gli stomaci più delicati… se invece siete temerari fan di Orrori da gustare proseguite pure con la lettura.

Vi avvisiamo però che oggi non parliamo di prelibatezze locali e preparazioni tradizionali, ma di uno dei cibi che forse più di tutti rappresenta la globalizzazione alimentare che stiamo vivendo: il salmone di allevamento intensivo.

Prima lusso natalizio, ora si trova in grandi quantità in ogni stagione: gli allevamenti intensivi si sono moltiplicati a dismisura, mentre gli stock di salmone selvatico sono ben lontani dal ripopolamento: quello Atlantico è addirittura in estinzione, mentre quello del Pacifico è in grave calo.

Ma l’allevamento intensivo non costituisce una buona alternativa, né per noi, né per ambiente ed ecosistemi.

Ecco perché:

  1. Negli allevamenti intensivi i reflui non vengono mai lavati via e si lasciano semplicemente cadere attraverso le reti. Pensateci, è come se non cambiaste mai la sabbietta al vostro gattino… Il risultato sono migliaia di tonnellate di escrementi e rifiuti che si depositano nel fondale intorno agli allevamenti che non vengono mai rimossi… Per saperne di più
  2. 600 000 salmoni che nuotano in una zuppa di muco ed escrementi alimentano le mutazioni di agenti patogeni che si diffondono dall’Atlantico fino al nostro supermercatino sotto casa Più info,  ancora info.

Sempre meno vita nell'Oceano Pacifico a causa dell'inquinamento

Ivan MacfadyenL’oceano Pacifico è morto, è svuotato di ogni vita. Ci sono solo rifiuti e barche per la pesca industriale intente a saccheggiare accuratamente quel poco che è ancora rimasto.

Ha fatto il giro del mondo, sui media di lingua inglese, il racconto struggente, tragico e a suo modo poetico di un marinaio, Ivan Macfadyen (foto), che ha ripetuto la traversata del Pacifico effettuata dieci anni fa. Allora fra l’Australia e il Giappone bastava buttare la lenza per procurare pranzo e cena succulenti. Stavolta in tutto due sole prede. Dal Giappone alla California, poi, l’oceano è diventato un deserto assoluto formato da acqua e rottami.

Nessun animale. Non un solo richiamo di uccelli marini. Solo il rumore del vento, delle onde e dei grossi detriti che sbattono contro la chiglia.

Il racconto di Ivan Macfadyen, vecchio marinaio col cuore spezzato dopo 28 giorni di desolata navigazione nel Pacifico, è stato raccolto dall’australiano The Newcastle Herald ed è stato variamente ripreso da decine e decine di testate, tutte in inglese.

Macfadyen ha navigato con il suo equipaggio a bordo del Funnel Web sulla rotta Melbourne - Osaka – San Francisco. Dice di aver percorso in lungo e in largo gli oceani per moltissimi anni, dice di aver sempre visto uccelli marini che pescavano o che si posavano sulla nave per riposarsi e farsi trasportare. E poi delfini, squali, pesci, tartarughe… Stavolta nulla di tutto ciò: nulla di vivo per oltre 3.000 miglia nautiche.

Nei mari italiani scarseggiano gli stock ittici

PesceAvete preparato un piatto di triglie? Oppure stare per uscire e comprare una fetta di pesce spada. Potrebbe essere l’ultimo sapore italiano per molto tempo perché ufficialmente oggi si è pescato l’ultimo pesce italiano, il nostro “pezzo” di Mediterraneo non può più sopportare la pesca così com’è ora, la riproduzione è a rischio.

Di fatto non è che dobbiamo aspettarci mari deserti da sogliole e aragoste, ma quegli animali non ce la fanno più a sopportare la nostra predazione eccessiva e senza controllo. Lo dicono i numeri del rapporto, pubblicato oggi (21 aprile) dal New economics foundation e OCEAN2012 dove si legge che “l’Italia sta consumando più pesce di quello che i mari europei sono in grado di fornire, rendendoci dipendenti dal pesce proveniente pescato da altri”.

Il Rapporto “Fish Dependence: The increasing reliance of the EU on fish from elsewhere” mette in rilievo il livello con cui l’Italia sta da un lato importando pesce e dall’altro esportando la pesca eccessiva. “Gli stock ittici (i tipi di pesce che vengono pescati; ndr) – spiegano gli esperti di Nef - sono infatti risorse rinnovabili che già secondo quanto afferma la Commissione Europea, stiamo prelevando dalle nostre acque molto più velocemente di quanto esse riescano a rinnovarsi perciò stiamo di fatto andando a cercare il pesce di qualcun altro”. Fino ad oggi, il Fish Dependence Day dell’Ue è arrivato ogni anno con sempre più anticipo, dimostrando un livello sempre crescente di dipendenza dall’estero. Quest’anno il giorno esatto a partire dal quale l’Italia diventa dipendente dal pesce d’importazione è il 21 aprile.

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